Disarmiamo l'Europa: Perché il Riarmo è Un Errore
Per la seconda puntata del – PODCAST LIVE CUB – SENZA FILTRI, Sindachiamo su politica, economia e società! – affrontiamo un tema di grande attualità e importanza: il riarmo europeo e la crescente militarizzazione dell’Unione Europea.
Abbiamo avuto il piacere di ospitare Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo, per approfondire il recente progetto approvato: Rearm Europe, o come forse verrà chiamato in futuro, Readiness 2030.
💣 Un progetto con un impatto politico enorme
Francesco ci ha spiegato che, al di là degli annunci e dei pezzi ancora mancanti nel piano, questo progetto ha un impatto politico rilevante, ponendo il riarmo al centro della politica europea, forse superando persino temi come i diritti, il Green Deal, o l’accrescimento delle condizioni di vita delle persone in Europa.
💰 Fondi e bilanci: le cifre del piano
Ci ha anche illustrato la consistenza concreta ancora incerta del piano in termini di fondi, con cifre potenziali che parlano di:
- 150 miliardi di euro in 4 anni, garantiti da prestiti della Commissione
- 650 miliardi di euro derivanti dall’allentamento delle norme sul tetto del debito per gli Stati membri
Questo cambiamento nelle regole di bilancio, permesso per le spese militari ma non per sanità, welfare, lavoro o ambiente, è stato definito un messaggio politicamente deleterio e problematico.
Inoltre, il piano sembra favorire il riarmo nazionale di alcuni paesi, in particolare la Germania, che ha i soldi per farlo, più che una politica di difesa e estera comune europea.
📈 L’aumento delle spese militari
Abbiamo discusso del lungo processo di aumento della spesa militare, un trend robusto già in atto da decenni a livello globale ed europeo.
- Le spese militari globali sono raddoppiate in circa 25 anni
- Quelle italiane sono aumentate del 60% in termini reali negli ultimi 10 anni
👉 Non sembra aver aumentato la nostra sicurezza, ma ha favorito gli interessi dell’industria militare e finanziaria, con una quota sempre maggiore della spesa destinata all’acquisto di sistemi d’arma.
Francesco ci ha raccontato come la militarizzazione dell’UE sia iniziata più di 10 anni fa, anche su suggerimento di esperti legati all’industria delle armi, portando alla creazione di strumenti come:
- Fondo Europeo della Difesa
- European Peace Facility
🇮🇹 Italia: produzione ed export di armi
Abbiamo analizzato il ruolo dell’Italia, che si colloca tra i principali esportatori di armi.
Abbiamo anche toccato il tema dell’assurdità di un mercato guidato dalla speculazione finanziaria, come dimostrano i tentativi recenti di eliminare i limiti su armi disumane come le mine antiuomo.
📉 L’industria militare, posseduta da mega-fondi, è stata descritta come un’industria che “prende i soldi e scappa“, non interessata alla stabilità o alla sicurezza.
🧮 I dati che smontano la narrazione ufficiale
Contrariamente alla narrazione diffusa di un’Europa impreparata di fronte a presunte minacce esagerate, i dati SIPRI mostrano che:
- I paesi dell’UE hanno speso molto di più della Russia negli ultimi 10 anni, anche tenendo conto delle differenze nei costi
⚠️ Questa falsità alimenta il riarmo, che non ha senso economico, non porta a maggiore sicurezza, ma alimenta un’industria orientata al profitto.
Il cosiddetto “cinesismo militare”, ovvero investire soldi pubblici nel settore militare, si è dimostrato inefficace economicamente rispetto a investimenti in:
- Energie pulite
- Educazione
- Sanità
- Welfare
- Tagli alle tasse
🔧 Riconversione civile: una strada possibile
Infine, abbiamo toccato un punto cruciale per il nostro sindacato: la possibilità e la necessità della riconversione civile delle produzioni militari.
Francesco ha sottolineato che è una strada sensata non solo eticamente, ma anche economicamente e occupazionalmente:
- Porta più vantaggi e benessere collettivo rispetto all’investimento nell’industria delle armi
- L’incidenza dell’industria militare sul PIL e sull’occupazione in Italia è residuale, contrariamente alla percezione comune
🎯 L’obiettivo: cambiare la “decisione di spesa” e orientare le capacità industriali verso produzioni civili utili
- Porta più vantaggi e benessere collettivo rispetto all’investimento nell’industria delle armi
🎧 Conclusioni
È stato un confronto ricco di spunti e dati, che smonta molte narrazioni comuni sul riarmo.
Speriamo che questa puntata vi offra elementi utili per comprendere e affrontare questo delicato tema. Rimanete con noi!
📌 Ecco un riassunto dei concetti chiave emersi dalla conversazione
Il progetto "Rearm Europe" è un piano europeo recentemente annunciato. Al momento mancano ancora molti dettagli concreti, ma l'annuncio ha un impatto politico molto rilevante. Questo piano rende il tema del riarmo centrale nella politica dell'Unione Europea, sostituendo potenzialmente altre priorità come i diritti, il Green Deal o il miglioramento delle condizioni di vita. L'impatto concreto, in termini di numeri e fondi, non è ancora del tutto chiaro.
Ci dovrebbero essere circa 150 miliardi di euro in 4 anni, garantiti da prestiti della Commissione Europea, che però andrebbero restituiti. La maggior parte dei fondi, altri 650 miliardi di euro, dovrebbe provenire dall’allentamento delle norme sul tetto del debito per gli Stati membri. Questo significa che i paesi potranno spendere di più in armi, fuori dai parametri normali, mentre questi limiti rimangono per altre spese come sanità, welfare, lavoro e ambiente.
Secondo i relatori, è improbabile. Il piano non mette a disposizione soldi comuni o meccanismi di decisione gestiti dalle istituzioni europee. Dà solo la possibilità ad alcuni paesi di riarmarsi a livello nazionale. Si suggerisce che potrebbe essere una mossa per favorire paesi come la Germania, che hanno la capacità finanziaria per uscire dai parametri di bilancio e avviare un piano di riarmo nazionale.
È importante capire che l'attuale "stagione di riarmo" non è qualcosa che "capita" o una "legge naturale". È una decisione politica. Anche se ci fosse un riarmo non derivante da scelte nostre, non è detto che armarsi ulteriormente sia la strategia migliore per renderci più sicuri.
Sì, c'è un elemento globale di continua crescita della spesa militare. Prendendo come riferimento l'11 settembre 2001, la spesa militare globale è ripresa ad alzarsi, arrivando a raddoppiare in circa 25 anni in termini costanti. In Italia, le spese militari sono cresciute del 60% in 10 anni.
Negli ultimi anni, una quota sempre maggiore della spesa militare nei paesi europei della NATO è stata destinata all’acquisto di nuovi sistemi d’arma:
- Dal 18% al 32% tra il 2014 e il 2024 per i paesi europei della NATO
- Per l’Italia, nel 2025 si prevede il 40% della spesa destinato a nuove armi
Questo smentisce la narrazione di un’Europa disarmata: il trend era già in crescita.
Secondo i relatori, no. La crescita della spesa militare è coincisa con un aumento delle guerre, delle morti civili e della percezione di insicurezza. Questo trend favorisce gli interessi armati e l’industria militare.
È iniziata oltre 10 anni fa, con strumenti come:
- Fondo Europeo della Difesa
- Strumento Europeo per la Pace (usato per inviare armi in Ucraina)
Questi strumenti nascono da progetti pilota promossi da esperti legati all’industria militare, che hanno suggerito di “dare i soldi all’industria militare”.
L’Unione Europea è un attore importante:
- I produttori europei rappresentano circa il 25% del fatturato delle prime 100 aziende mondiali
- Gli Stati Uniti restano comunque il principale attore globale
Sì. Nonostante le dichiarazioni ufficiali, il riarmo europeo alimenta i fatturati dell’industria militare USA, facendo esattamente ciò che gli Stati Uniti desiderano.
- Sistemi aerei (aerei, elicotteri)
- Navi, munizioni, artiglieria
- Armi leggere (area bresciana)
- Droni (con una joint venture con la Turchia)
Sì. Anche se hanno poco valore economico, il loro impatto è enorme nei conflitti reali, soprattutto nei contesti di violazioni dei diritti umani.
Alcuni paesi, come quelli baltici, vogliono abbandonare le limitazioni. Questo favorisce la speculazione finanziaria.
L’Italia, al contrario, ha una legge unica che:
- Ratifica la convenzione contro le mine
Impedisce alle banche italiane di finanziarne la produzione all’estero
Secondo i relatori, no. È una narrativa debole, smentita dal fatto che per anni si è detto che non c’erano fondi per sanità, welfare o ambiente, mentre ora spuntano risorse per il riarmo.
No. Studi dimostrano che:
- Gli stessi fondi investiti in energie pulite, sanità, educazione o welfare
Hanno un impatto economico molto migliore rispetto a investirli nel settore militare
Sì. L’industria è posseduta da megafondi, orientata al guadagno immediato.
Potrebbero vendere le armi sviluppate con fondi pubblici a chiunque offra di più, senza curarsi delle conseguenze.
Sì. Ministri italiani come Giorgetti o Crosetto hanno espresso dubbio sulla sostenibilità finanziaria del riarmo, pur non mettendo in discussione il principio.
Per raggiungere i parametri richiesti, servirebbero tagli drastici allo stato sociale.
Negli ultimi 10 anni, i paesi dell’UE hanno speso 1.800 miliardi di dollari in più della Russia, cioè da tre a tre volte e mezzo di più.
Anche tenendo conto dei costi più bassi in Russia, la spesa europea è molto superiore.
Una domanda cruciale. Per anni si è detto che le forze armate europee erano “le migliori”.
Ora si sostiene che manca tutto.
👉 Dove sono finiti i soldi spesi?
Non un’invasione militare. Le vere minacce sono:
- Cambiamento climatico
- Precarietà lavorativa
- Situazione idrogeologica
L’idea che Putin voglia arrivare a Lisbona è definita una “falsità iperbolica”.
No.
Il linguaggio bellico (es. personale medico “al fronte”) crea uno slittamento semantico.
Questo approccio ha preso piede già dalla pandemia di Covid.
No.
L’Europa non è “sguarnita”.
Si può discutere sull’efficienza, ma l’apparato militare esiste ed è presente.
Sì. Studi mainstream indicano che una razionalizzazione della difesa europea potrebbe portare a:
- 70–100 miliardi di euro/anno di risparmi
Fondi che potrebbero essere reinvestiti in lavoro, ambiente, sanità, istruzione
La riconversione è la strada giusta.
Ma è difficile da attuare, perché:
- I lavoratori hanno spesso contratti migliori nel settore militare
- Temono di perdere il posto
L’industria della difesa è vista come “eccellenza”.
- Meno dell’1% del PIL
- Meno dello 0,7% dell’export
- Meno dello 0,5% dell’occupazione
Settori come l’agroalimentare o la produzione di viti e bulloni pesano molto di più.
Sì.
Produrre macchine sanitarie anziché armi:
- È più utile economicamente
- Genera benessere collettivo
Porta valore aggiunto alla società
Il problema è il “ricatto occupazionale”:
- Le fabbriche militari sono spesso in zone depresse
- I lavoratori non hanno alternative occupazionali
Serve un’alleanza ampia che offra soluzioni concrete e credibili.
Scopri tutti i nostri podcast
unisciti anche tu alle nostre lotte