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I dazi e il loro significato strategico

 

I dazi: qualche spunto di riflessione fuori dal coro

Qual è il significato strategico dei pesanti dazi imposti dagli Usa alle importazioni di tanti Paesi molti dei quali alleati politici e militari?

E questi passaggi trasformano gli Usa da paladini della globalizzazione ad alfieri del
protezionismo? Il ruolo egemone degli Stati nazionali sta tornando in auge?  E le sette grandi multinazionali (Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet, Tesla, Saudi Aramco, Facebook, Berkshire Hathaway, Visa) aventi ciascuna giri di affari superiori ai Pil di interi Paesi, rimarranno spettatrici passive davanti a ulteriori chiusure in negativo delle Borse?

A cura di Emiliano Gentili e Federico Giusti
 
Gli Stati Uniti hanno imposto nuove tariffe del 20% all’Europa, del 10% al Regno Unito, del 24% al Giappone, del 54% alla Cina (erano già al 20%) e del 25% sulle auto prodotte fuori dagli Stati Uniti.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale al 2018 i dazi erano scesi dal 15/20% all’1%, per arrivare oggi invece alla media del 28-29% (una delle più alte raggiunte dalla metà dell’Ottocento ai nostri giorni). All’indomani della loro entrata in vigore le Borse hanno registrato grosse perdite (oltre 400 milioni di euro in un paio di giorni1) ma il vicepresidente Usa ha confermato la linea, dichiarando i dazi una misura «necessaria» per raddrizzare gli squilibri commerciali e precisando che «ci vorrà del tempo per vedere i loro effetti», e che quindi occorre aspettare e non cospargersi il capo di cenere. La stessa posizione attendista assunta, al momento, dal Governo Meloni e dalla stampa che lo sostiene (per ora la notizia più rilevante è che i Vicepresidenti del Consiglio e i Ministri dell’economia, delle Imprese, dell’Agricoltura e per gli Affari Europei saranno convocati dal Governo tra lunedì 7 e martedì 8 aprile, con lo scopo di assegnare loro l’incarico di produrre uno studio sull’impatto dei dazi sui rispettivi settori economici di riferimento).  

Nel frattempo, dunque, cosa è cambiato? E poi quali sono i criteri con i quali vengono calcolate le percentuali dei dazi, così variabili nel tempo e diverse da Paese a Paese?
Per prima cosa, la risposta degli Usa a Paesi che danneggerebbero l’economia statunitense consiste nel rilevare il deficit commerciale degli Stati Uniti col Paese considerato e applicarvi una tariffa per tentare una compensazione. Perciò, Trump parla a sproposito di dazi reciproci2. Piuttosto siamo davanti a una operazione matematica grossolana: tenuto conto della bilancia commerciale (import/export) si applica un’equazione e infine, sulla base del risultato, viene stabilito l’ammontare del dazio.
Ma prendere in considerazione la bilancia commerciale come metodo per stabilire una relazione commerciale “alla pari” può essere fuorviante. Prendiamo due Paesi asiatici, Cambogia e Vietnam, dove le imprese Usa hanno delocalizzato negli anni ingenti produzioni (ad esempio scarpe e vestititi sportivi). Su queste vengono applicate tariffe elevate, che poi faranno alzare i prezzi di tanti prodotti richiesti dal mercato interno (segue)
 
1 ANSA/EPA, Borsa: l’Europa brucia 422 miliardi di euro con i dazi Usa, «Ansa», 3 Aprile 2025.
 
2 È sufficiente vedere le tasse imposte alle importazioni dal Messico, dal Giappone o dai paesi del Sud-Est asiatico.
 
statunitense, sapendo che rimarrà comunque conveniente continuare a produrre nei Paesi dove il costo del lavoro è assai più basso e le normative (ambientali, in materia di sicurezza sul lavoro, ecc.) accomodanti. Lo squilibrio tariffario – anche evitando di considerare le differenze valutarie – dunque, viene creato dalla cosiddetta “divisione internazionale del lavoro”, per la quale le aziende di alcuni Paesi dominanti riescono a garantirsi i business più profittevoli mentre agli altri rimangono le briciole. I primi, dunque, efficientano i processi produttivi e intensificano i ritmi di lavoro, perché ogni secondo non lavorato equivale a una perdita economica; ai secondi, che ottengono livelli di profitto nettamente inferiori, conviene invece recuperare margini di competitività comprimendo il costo del lavoro, evitando gli investimenti “superflui” e mantenendo una certa deregolamentazione normativa in materia contrattuale e di sicurezza sul lavoro.
 
È vero che la scommessa di Trump è di riportare a casa parte della manifattura delocalizzata (cd. “industrializzazione di ritorno”) ma rimane altrettanto vero che il capitalismo Usa guarda da tempo a prodotti con elevata reddittività e alto tasso tecnologico, anziché a merci che costano relativamente poco e generano un basso valore aggiunto. In questi casi è necessario, per il capitalista, che la forza lavoro sia iper-sfruttata: non per niente la delocalizzazione è sembrata una buona strategia anche per le passate amministrazioni repubblicane.
 
Si tratta di una contraddizione che irrimediabilmente conferisce a entrambe le tendenze un carattere parziale. Nel caso della Ue, ad esempio, i dazi sono decisamente più bassi che in altri, perché le esportazioni verso gli Usa sono e rimarranno ingenti e, pertanto, una tassazione elevata provocherebbe danni eccessivi alla stessa economia statunitense.
 
Dal punto di vista finanziario le prime conseguenze dei dazi sono il ribasso dei titoli azionari e gli andamenti negativi della Borsa Usa e di quelle del Vecchio Continente (il Nasdaq – l’indice statunitense dei titoli tecnologici più importanti – perde oltre 5 punti percentuali e le piazze europee attorno al 3%). Le prossime settimane ci aiuteranno a capire se la tendenza al ribasso sarà confermata oppure no; molto dipende dalle risposte che arriveranno da Cina e Ue. Nel frattempo, il greggio è sceso di oltre il 6%, a circa 62 dollari al barile.
 
Per quanto riguarda gli Usa, stando alle previsioni si parla di circa 600 miliardi di dollari che verranno prodotti dai dazi: saranno proprio questi i soldi necessari per ridurre un po’ il deficit statale ma, soprattutto, tagliare le tasse per circa 450 miliardi. Un’operazione che darà forse frutti per conservare equilibri interni di natura politica e propagandistica ma che non è detto partorisca gli effetti sperati (come il ritorno di alcune produzioni negli Usa).
Del resto, come abbiamo visto anche fare una valutazione “equilibrata” e “oggettiva” delle barriere commerciali non è semplice e le tariffe, come detto sopra, non sono certo mutuate dalla teoria economica. Ad esempio, come spiegare il dazio aggiuntivo del 20% alla Ue, quando gli si chiede di sostenere parte delle spese un tempo a carico del
Pentagono?
 
Ora alcuni punti per approfondire la questione dal punto di vista degli Stati Uniti:
  • · Trump mira a riportare svariate produzioni negli Usa e con i dazi intenderebbe ripianare in buona parte il deficit federale che, tuttavia, si aggira attorno ai 1.800 miliardi, circa tre volte tanto la cifra ricavata dall’applicazione dei dazi. Il rifinanziamento del taglio delle tasse avvenuto nell’ultimo mandato presidenziale repubblicano (anno 2017) pesa per circa 450 miliardi di euro. Fatti due conti, a Trump mancherebbe ancora oltre un bilione (1.000 miliardi) se vuole cancellare il deficit federale. A questo punto, anche per ottenerne soltanto una semplice riduzione bisognerà abbattere drasticamente la spesa federale e il welfare;
  • · conviene leggere un po’ di stampa straniera e statunitense per capire gli obiettivi della prossima Legge di Bilancio Usa, che presenta poderosi tagli fiscali da qui ai prossimi dieci anni, tagli a tutte le agenzie federali, un aumento del limite del debito nazionale di 4 trilioni di dollari e un aumento fattivo dello stesso debito dai 35,46 trilioni (1° ottobre 2024) ai 55,57 trilioni di Dollari (entro il 30 settembre 2034);
  • · da autorevoli fonti statunitensi apprendiamo ad esempio dell’impossibilità della Cina di eguagliare i dazi Usa, pur avendo acquistato quasi 144 miliardi di Dollari di beni statunitensi nell’anno 2024. Coerentemente con la propria traiettoria di sviluppo economico – che tradizionalmente premia i settori economici più profittevoli e ne trascura altri, al fine di reggere il confronto sul mercato globale – la Cina potrebbe effettuare interventi specifici più pesanti, rafforzando il controllo delle esportazioni di metalli e terre rare necessari per realizzare i semiconduttori (e i prodotti tecnologici in generale) attuando la sospensione delle licenze di esportazione per sedici aziende statunitensi e aggiungendo altre undici società hi-tech a un «elenco di entità inaffidabili»3.
Facciamo la stessa cosa con l’Unione Europea:
  • · stando ai documenti ufficiali, «nel 2023 il totale degli scambi bilaterali di merci [con gli Usa] ha raggiunto gli 851 miliardi di euro. L’UE ha esportato 503 miliardi di euro di merci verso il mercato statunitense mentre ha importato 347 miliardi di euro; ciò ha comportato un avanzo commerciale di merci di 157 miliardi di euro per l’UE»4;
  • · quanto a beni e servizi, l’Ue presenta un certo disavanzo commerciale con gli Stati Uniti, nonostante le “sparate” di Trump su un presunto furto perpetrato dall’Europa ai danni degli Stati Uniti tramite l’applicazione dell’Iva alle merci d’importazione. I beni prodotti nell’Ue pagano esattamente la stessa Iva di un qualsiasi altro prodotto importato, dacché l’imposta si applica sia ai beni nazionali che a quelli importati e, difatti, «Per motivi tecnici, non esiste un dato “assoluto” per le tariffe medie sul (segue)
3 Cfr. CHINA GLOBAL TELEVISION NETWORK, La Cina aggiunge 11 aziende statunitensi all’elenco delle entità inaffidabili, 4 Aprile 2025, https://italian.cri.cn/2025/04/04/ARTI1743767559726567; C. SHEPHERD, A. GREGG, L. KUO, R. TAN and R. SIEGEL, Stocks close down heavily again after China matches U.S. tariffs, «theWashingtonPost», 4 Aprile 2025.
 
4 COMMISSIONE EUROPEA, Questions and Answers on the US reciprocal tariff policy, 18th February 2025, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/qanda_25_541.
 
commercio UE-USA, in quanto questo calcolo può essere effettuato in una varietà di modi che producono risultati piuttosto diversi. Tuttavia, considerando l’effettivo commercio di merci tra l’UE e gli Stati Uniti, in pratica l’aliquota tariffaria media da entrambe le parti è di circa l’1%. Nel 2023 gli Stati Uniti hanno riscosso circa 7 miliardi di euro di dazi sulle esportazioni dell’UE e l’UE ha riscosso circa 3 miliardi di euro sulle esportazioni statunitensi»5;
  • · dato il ruolo svolto dal personalismo di Trump, in questo momento, non è forse un caso che sia i dazi europei che quelli cinesi colpiscano anche alcuni settori-chiave per il consenso elettorale repubblicano. Nello specifico la Rust Belt (cuore industriale americano, attaccato dall’Ue) e le Great Plains (cuore agricolo, colpito dalla Cina)6. Per converso sarebbe utile, paradossalmente, uno studio accurato per comprendere quali siano i settori fino ad oggi salvaguardati. 

    5 Ibidem  
    6 Cfr. G. OTTAVIANO, I paradossi del protezionismo Trumpiano, «laVoce.info», 1° Aprile 2025.
 
Bibliografia utile:
 
 
 
 
 
 

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