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Pubblico impiego: No al welfare aziendale

No al “welfare” aziendale, sì al salario e allo stato sociale universale!

In molti enti pubblici e nella sanità è stato proposto ai lavoratori di spostare una fetta di salario accessorio in “welfare”. Quindi invece di investire risorse per dare ristoro agli istituti contrattuali e alla produttività di tutti i dipendenti, si elargisce questo “benefit” da spendere dove altri decideranno per noi.

Questa operazione sponsorizzata anche dai sindacati confederali appare vantaggiosa “perché è esentasse”, ma in realtà nasconde insidie ben più gravi per il futuro dei nostri diritti e del nostro salario.

Chi ci guadagna e chi ci perde

Dietro misure che sembrano migliorare le nostre condizioni materiali (benefit, assistenza sanitaria integrativa, ecc.) si cela una logica perversa, già ben nota nel settore privato:

  • Perdita di salario: le quote di welfare vengono progressivamente sottratte dal salario aziendale e, in prospettiva, rischiano di assorbire anche gli aumenti contrattuali (cosa già avvenuta nel settore metalmeccanico), trasformando il salario in servizi e beni non monetari.

  • Perdita di diritti: il welfare aziendale non influisce su istituti contrattuali e non permette la maturazione di contributi pensionistici. È un baratto: meno salario in cambio di servizi come ad esempio la sanità privata che avrà ampio margine per decidere poi quali tariffe applicare alle migliaia di nuovi utenti.

  • Ci perdiamo tutti come cittadini: l’introduzione e la diffusione del welfare aziendale spingono lo Stato a destinare meno fondi alla sanità, all’istruzione e allo stato sociale universale. Le tutele diventano “aziendali” e non più universali.

  • Ci guadagnano i sindacati confederali: molto spesso, i pacchetti di welfare aziendale sono gestiti dagli enti bilaterali, composti pariteticamente dalle associazioni padronali e dai sindacati confederali. La partecipazione alla cogestione del welfare in questi enti costituisce una fetta importante dei bilanci sindacali, creando un vero e proprio interesse economico a promuovere questa logica.

La nostra opposizione e le nostre priorità

La CUB P.I. respinge con forza questa logica del baratto del proprio salario in cambio di prestazioni di welfare. Dobbiamo impegnarci in una capillare attività di informazione per comprendere cosa si nasconde dietro questa manovra.

  1. STOP al welfare decentrato: il nostro primo passo concreto sarà l’opposizione netta all’introduzione di forme di welfare aziendale nei prossimi contratti decentrati.

  2. Lotta per il salario: rilanciamo la lotta per aumenti salariali veri e in busta paga. Vogliamo un salario che influisca su tutti gli istituti contrattuali e contributivi.

  3. Difesa dello stato sociale: esigiamo un rafforzamento dello stato sociale universale e delle tutele per tutti i cittadini, non un’assistenza “a la carte” finanziata con il nostro salario.

Non permettiamo che i nostri diritti e il nostro stipendio vengano usati come merce di scambio

La lotta per il salario e per uno stato sociale universale è una priorità!

Milano, ottobre 2025

CUB Pubblico Impiego – federazione nazionale  

E-mail pubblicoimpiego@cub.it 

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