Riflessione sul convegno sull’Intelligenza Artificiale Trento 14 giugno 2025
Sabato 14 giugno si è svolto a Trento, nella Sala della Regione, il convegno Intelligenza artificiale, lavoro e società. L’iniziativa, a cui ha partecipato una sessantina di persone, è durata per l’intera giornata. Se gli incontri e le manifestazioni organizzati sul tema da gruppi, collettivi e associazioni non sono mancati negli ultimi anni, quello di sabato scorso è molto probabilmente il primo convegno promosso (anche) da organizzazioni sindacali
Un “primato” che, se da un lato è piuttosto sbalorditivo, visto l’impatto che la digitalizzazione ha sulle forme e le condizioni di lavoro, dall’altro conferma uno degli assunti da cui ha presso le mosse il convegno: l’introduzione massiccia dell’IA viene presentata dai suoi promotori come qualcosa di neutro (“dipende dall’uso che se ne fa”) e di inevitabile (si può discutere solo il come, non il se) e come tale viene vissuta da gran parte della società. Altro elemento che concorre a farne una sorta di religione è la sua pretesa “immaterialità”, come suggeriscono espressioni quali cloud (“nuvole). Parte significativa del convegno è stata allora dedicata proprio a svelare l’impatto materiale dell’IA, in termini di estrazione di minerali, devastazione ecologica e consumo abnorme di acqua e di elettricità, al punto che il suo sviluppo porta con sé il rilancio del nucleare.
Dopo un’introduzione a carattere generale fatta da Ezio Casagranda (CUB Trento), Rocco D’Alessandro (UniAmoci Trento) ha parlato di “portafoglio digitale”, del suo contesto sociale (la smart city) e della sua infrastruttura (il 5G e il 6G), evidenziando come la logica del profitto e quella della sorveglianza siano sempre più intrecciate.
Il docente e formatore sindacale Stefano Borroni Barale ha spiegato come l’IA non sia né “intelligente” (in quanto imita solo alcune delle facoltà umane, quelle più standardizzate) né “artificiale” (i suoi codici non sono affatto prodotti dalle macchine ma da un esercito di “etichettatori” sottopagati) proponendo una riflessione critica sull’uso di ChatGPT nelle scuole.
Fulvio Flamini (SBM) ha illustrato l’impatto che l’IA ha sul lavoro, sottolineando quanto sia illusorio pensare che il potere dei giganti del tech (e della grande finanza) possa essere arginato dalle normative istituzionali senza una resistenza attiva da parte dei lavoratori.
Rosanna Gonzo, operatrice sanitaria e delegata CUB, ha fatto un’ampia riflessione su come IA e digitalizzazione, oltre a intensificare i processi di privatizzazione e aziendalizzazione della Sanità, stiano anche imponendo paradigmi medici sempre più riduzionisti nel modo di affrontare il rapporto tra corpi, ambiente e malattia.
Ezio Casagranda si è soffermato sulla questione dei ritmi di lavoro (la cui “saturazione” potrebbe raggiungere nell’industria 5.0 il 100%) e del controllo aziendale sui singoli movimenti del lavoratore, ponendo interrogativi tutt’altro che “tecnici” e che non possono essere delegati agli algoritmi: la produttività industriale aumentata con l’IA deve andare tutta al profitto oppure deve essere redistribuita socialmente, sotto forma di diminuzione dell’orario di lavoro degli inclusi e di salario garantito per gli espulsi dalla produzione? È possibile, invece, una lotta per impedire l’uso generalizzato del digitale in agricoltura, nella Sanità e nella scuola? Quanto simili interrogativi siano drammaticamente attuali è stato confermato dall’intervento di Walter Gelli (Cub nazionale): a proposito dell’impiego di sensori e telecamere nelle case di riposo in Lombardia: come deve porsi un’organizzazione dei lavoratori?
La conclusione (certo provvisoria) dei lavori è stata affidata a Walter Montagnoli (Cub nazionale) che ha ripreso il tema della guerra e dell’economia di guerra, con riferimento allo sciopero generale del 20 giugno. Se non bastasse l’impatto che ha nella nostra vita di tutti i giorni, a ricordarci che la questione dell’IA è una delle questioni decisive del nostro tempo ci pensa il genocidio a Gaza, il primo massacro algoritmico della storia.
La speranza è che la giornata di sabato, in cui sono emerse anche differenze di analisi e di prospettive, sia stata un sasso nello stagno. Come è stato scritto: «Il tempo per pensarci è adesso».
Perché un convegno su Intelligenza Artificiale, lavoro e società
Il fatto che, di fronte all’impatto che la digitalizzazione sta avendo e avrà sulla società e sul mondo del lavoro, i sindacati – anche di base – non stiano aprendo un ampio dibattito ci sembra una grave lacuna. Con questo convegno vogliamo provare a colmare, almeno in parte, tale lacuna
Di “Intelligenza Artificiale” – espressione di per sé ingannevole perché, come vedremo, le enormi macchine di calcolo e computazione non sono né “intelligenti” né “artificiali” – parlano “esperti”, economisti, politici e giornalisti mentre tacciono lavoratori e cittadini. Con rarissime eccezioni, a esprimersi sono soltanto gli “accettologi”. Costoro si dividono in “tecno-ottimisti” – la tecnologia risolverà ogni problema dell’umanità, compresi quelli che essa stessa genera – e in “tecno-prudenti” – la crescente automazione delle decisioni e delle attività sociali presenta gravi incognite che bisogna “governare” – ma sono entrambi d’accordo sul fatto che il processo di informatizzazione della vita è comunque inevitabile. La propaganda a favore dell’IA ha tutte le caratteristiche della religione (qualcuno la definisce non a caso tecno-magia).
Scopo del convegno è sostituire l’esame critico alla fede.
Guardando dentro la “scatola nera” dell’IA, si scoprono proprio quegli elementi in genere esclusi dal dibattito. Imitare alcuni modelli linguistici e matematici dell’intelligenza umana è cosa ben diversa dal comprendere, e soprattutto dal sentire, facoltà umane non riproducibili dagli algoritmi.
La pretesa “artificialità” di questi ultimi nasconde la parte decisiva giocata dal lavoro umano non pagato o sottopagato dentro il funzionamento delle macchine computazionali.
Ancora prima degli usi sociali – comunque tutt’altro che “neutri” – dell’IA, è fondamentale capire di cosa essa è fatta materialmente. Dietro un’applicazione come ChatGPT c’è un gigantesco apparato, che va dalle enormi quantità di terre e metalli rari, la cui estrazione provoca gravissimi danni ecologici e sociali, ai cavi sottomarini, alle dorsali di fibra ottica, ai satelliti, ai droni, ai ripetitori, alle antenne, ai server, ai data center. Tutto questo ha bisogno di acqua e di elettricità. I “dati” che alimentano l’IA – la quale va vista come una sorta di vampiro dell’esperienza umana e della sua storia – vanno raccolti, processati, elaborati (e venduti); a tal fine servono dispositivi di cattura (sensori, telecamere, Gps, oggetti connessi) sempre più disseminati nelle città e nei territori, con livelli di sorveglianza e di controllo sociale sconosciuti ai regimi totalitari del passato, nonché con concentrazioni di potere economico, politico e militare anch’esse senza eguali nella storia. A tutto questo si aggiunge l’impatto diretto sulle attività lavorative: oltre alle professioni messe a rischio o già in via di sostituzione, la “tirannia dell’algoritmo” (che è la tirannia di chi lo programma e di chi ne possiede e controlla l’infrastruttura) accresce i livelli di sfruttamento e accelera i ritmi di lavoro. Non solo. La finanziarizzazione dell’economia – con il suo carico di delocalizazzioni, lavori just in time e perdita di potere contrattuale da parte dei lavoratori – non sarebbe stata possibile senza l’informatica. L’IA, che affida ancora di più la speculazione finanziaria e i suoi impatti globali alla velocità sovrumana degli algoritmi, produrrà disoccupazione di massa, concorrenza spietata tra i produttori e condizioni semi-schiavistiche nelle fabbriche e nelle catene della logistica.
Cosa genera, poi, soprattutto tra i giovani e i giovanissimi, la costante esposizione agli schermi in termini mentali, relazionali e fisici? Che cittadini fabbrica la “scuola digitale”? Se i corpi stessi diventano un insieme di “algoritmi bio-chimici”, che modello di medicina e di salute si sta configurando?
Qualcuno ha scritto: “Abbiamo abbracciato il digitale come via di fuga dalla materialità solo per scoprire che stiamo costruendo la più grande infrastruttura materiale della storia umana”. Per capirlo, sarà sufficiente qualche dato: uno smartphone di 200 grammi incorpora un peso ecologico reale di 70 chilogrammi (rapporto 350:1), un microchip di 2 grammi nasconde 32 chilogrammi di materiali (rapporto 16.000:1); lo stesso chip può arrivare ad attraversare 70 confini e compiere un viaggio di 25.000 km.
La visione tecnocratica propone delle immagini e dei concetti elaborati apposta per occultare la materialità del digitale. Pensiamo all’espressione cloud computing: quella “nuvola” – simbolo etereo per eccellenza – rappresenta in realtà uno dei sistemi industriali più fisicamente imponenti mai creati. Ciò che si spaccia per “dematerializzazione” costituisce la più colossale operazione di materializzazione nella storia umana. Nel suo libro Inferno digitale, Guillaume Pitron ci conduce nei “templi dell’immaterialità” nordeuropei, enormi strutture create da Facebook per immagazzinare dati digitali. Questi complessi industriali si estendono per decine di migliaia di metri quadrati, consumano elettricità equivalente a quella di intere città e richiedono sistemi di raffreddamento che utilizzano quantità impressionanti di acqua. L’autore non si limita a descrivere le server farm ma svela l’infrastruttura collaterale spesso dimenticata: generatori diesel di backup grandi come locomotori, sistemi di condizionamento industriali, chilometri di cavi e tubazioni.
L’etichetta di sostenibilità che accompagna questi centri dati – giustificata dall’uso in parte di energia rinnovabile – nasconde una realtà ben diversa. Come evidenzia ancora Pitron, queste strutture “ecologiche” alimentate da energia idroelettrica hanno deviato e prosciugato interi fiumi, alterando ecosistemi locali. Con migliaia di agricoltori che, da Taiwan agli Stati Uniti, protestano perché l’acqua viene sottratta ai loro campi per “irrigare”… i server dei data center. La “razionalità strumentale” è cosa ben diversa dall’intelligenza. La potenza degli strumenti tecnici può rendere efficienti delle attività che l’intelligenza sociale considera totalmente insensate. Usare l’acqua per i “dati” invece che per il cibo è l’emblema dell’insensatezza. L’Intelligenza Artificiale equipaggia e aggrava tale insensatezza. D’altronde, quello che ci decanta le “magnifiche sorti e progressive” dell’IA è lo stesso sistema che ha impiegato l’ingegneria genetica per rendere sterili i semi delle piante (al fine di brevettarli e rivenderli ai contadini ogni anno). Siamo di fronte a dei Frankestein al contrario. Il personaggio inventato da Mary Shelley voleva riportare in vita i cadaveri; costoro utilizzano la potenza tecnica per rendere cadaverica la vita e per sostituire i cervelli umani con dei microchip. Il digitale non elimina la materia; la trasforma, la redistribuisce, la nasconde – portandola oltre la soglia della nostra percezione quotidiana.
Inoltre, quella che appare come una rete neutrale di connessioni globali è in realtà un campo di battaglia per il controllo strategico delle risorse e delle informazioni. La Cina, con la sua “via della seta digitale”, sta ridisegnando la mappa globale delle infrastrutture di comunicazione, posando migliaia di chilometri di cavi sottomarini come il PEACE (Pakistan and East Africa Connecting Europe) che collega Karachi a Marsiglia. Un’espansione che non è solo commerciale ma profondamente politica e militare.
Dal lato occidentale, prendiamo il caso emblematico del cavo Hibernia Express che collega Londra a New York. L’infrastruttura — costata 300 milioni di dollari — è stata progettata con una deviazione massima di appena 40 km rispetto alla linea retta teorica, attraversando pericolosamente zone di pesca e aree geologicamente instabili. Tutto questo per guadagnare 5 millisecondi nella trasmissione dati.
Pensate alla paradossale materialità di questo scenario: migliaia di tonnellate di materiali distese sul fondo oceanico per risparmiare un intervallo di tempo impercettibile all’esperienza umana ma cruciale per gli algoritmi degli scambi finanziari ad alta frequenza.
Se il digitale continua a crescere senza misura, nessuna efficienza sarà mai sufficiente. Ogni byte poggia su miniere, acqua, energia. Non si può abolire la fisicità del mondo. Ma si può devastarlo nell’illusione di riuscirci.
Sabato 24 maggio il ministro dell’ambiente Pichetto Fratin ha parlato al Festival dell’economia di Trento. Siccome – ha detto il ministro – “la spinta della digitalizzazione, dell’intelligenza Artificiale e dei data center farà raddoppiare entro i prossimi 15 anni il fabbisogno italiano di energia (oggi 310 terawattora all’anno)”, ci vuole il nucleare. Che è esattamente quello che sta succedendo negli USA.
Per dar corpo agli investimenti da 500 miliardi di dollari nell’Intelligenza Artificiale promossi dal governo Trump (piano definito non a caso Nuovo Progetto Manhattan) Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft stanno progettando e costruendo dei reattori nucleari unicamente per alimentare i loro data center.
Che quelli di Pichetto Fratin non siano generici auspici, è dimostrato dalla creazione, la settimana precedente alla conferenza di Trento, della società Nuclitalia, formata da Enel, Ansaldo Energia e Leonardo.
Alla presidenza della nuova società è stato nominato Ferruccio Resta, presidente della Fondazione Bruno Kessler. Tra i tanti progetti nazionali e internazionali in cui è coinvolta, FBK fa parte anche di Intacture, la società che deve gestire il data center in costruzione nella miniera Tassullo, in Val di Non.
Che il rilancio del nucleare sia un programma concreto e non uno spot è confermato dal fatto che tra gli accordi appena sottoscritti tra il governo Meloni e il Kazakistan uno riguarda la fornitura kazaka di uranio. E il fatto che dentro Nuclitalia ci sia il più grande produttore italiano di armi (Leonardo) rende ridicole le rassicurazioni sull’uso esclusivamente civile del nucleare.
Se abbiamo insistito così tanto sulla materialità del digitale e dell’Intelligenza Artificiale è perché questo aspetto non entra mai nel ragionamento sui costi e benefici.
Ci dicono che il dibattito non è sul se ma solo sul come usare l’IA.
Parlando del come, non possiamo chiudere questo intervento senza ricordare che a Gaza è in corso il primo genocidio automatizzato della storia, in cui i programmi di intelligenza artificiale chiamati “Lavandaia”, “Vangelo” e “Dov’è paparino?” hanno reso altamente efficiente l’eliminazione dei palestinesi, proprio come le schede perforate fornite da IBM al Terzo Reich avevano reso estremamente efficiente la macchina di sterminio nazista. Non mancano sviluppatori ad alto livello di IA che lanciano allarmi su futuri distopici in cui le macchine assassineranno gli umani. Perché non se ne trovano cinque di numero che abbiano definito disumano, anti-etico, inaccettabile, criminale l’uso dell’Intelligenza Artificiale fatto dallo Stato d’Israele? Forse perché escludendo l’impiego bellico degli algoritmi rimarrebbero disoccupati, dal momento che l’IA serve innanzitutto a fare la guerra?
Insomma, la posta in gioco è troppo alta per lasciare le decisioni a un pugno di “esperti”. Una società più egualitaria, in cui si lavori per vivere e non per arricchire tecnocrati e multinazionali, in cui si cooperi con la natura invece di distruggerla, è un’alternativa che non si può costruire senza lo sforzo di pensare insieme. E il tempo per pensarci è adesso.
GLI INTERVENTI, AUDIO:
- Apertura convegno
- Rocco D’Alessandro – (UniAMOci Trentino) I pericoli e la pervasività del “portafoglio digitale, il controllo sociale, la smart city (Trento);
- Stefano Borroni Barale – (docente e formatore sindacale) autore del libro “L’intelligenza inesistente”, sull’IA con un riferimento particolare alle conseguenza sul sistema scolastico;
- Fulvio Flammini – SBM, sui «rapporti di lavoro e IA – normative legislative nazionali ed europee»;
- Walter Gelli –
- Rosanna Gonzo – RSU CUB Sanità, una prima analisi su «Sistema sanitario, digitalizzazione e profitto»;
- Ezio Casagranda – Le conseguenze dell’IA su “occupazione, orario precarietà tempi di lavoro e dipendenza da algoritmo”;
- Walter Montagnoli – Cub nazionale, Conclusioni.
Bibliografia minima
Alcuni classici della riflessione critica sullo sviluppo tecnologico
– Günther Anders, L’uomo è antiquato, voll. I e II, Bollati Boringhieri, Torino, 2007
– Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Jaca Book, Milano, 2009
– Lewis Mumford, Il mito della macchina, Il saggiatore, Milano, 2011
– Ivan Illich, La convivialità, Red, Milano, 2013
Sul rapporto tra automazione e lotte dei lavoratori
– David F. Noble, La questione tecnologica, Bollati Boringhieri, Torino, 1993
Sull’impatto ecologico del digitale
– Guillaume Pitron, La guerra dei metalli rari. Il lato oscuro della transizione energetica digitale, Luiss, Roma, 2023
– Guillaume Pitron, Inferno digitale. Perché internet, smartphone e social network stanno distruggendo il nostro pianeta, Luiss, Roma, 2022
– Éric Sadin, La siliconizzazione del mondo, Einaudi, Torino, 2018
Sull’Intelligenza Artificiale
– Éric Sadin, Critica della ragione artificiale, Luiss, Roma, 2019
– Stefano Borrone Barale, L’intelligenza inesistente. Un approccio conviviale all’intelligenza artificiale, Altreconomia, 2022
Su IA, digitalizzazione e guerra
– Francesca Balestrieri, Luca Balestrieri, Tecnologie dell’impero. AI, quantum computing, 6G e la nuova geopolitica del potere, Luiss, Roma, 2024
– Jacques Luzi, L’intelligenza artificiale serve innanzitutto a fare la guerra, Terra e Libertà, Rovereto, 2024 (leggibile anche su terraeliberta.noblogs.org).