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Intelligenza artificiale e lavoro umano

di Federico Giusti CUB Pisa ed Emiliano Gentili

Definizione e nascita dell’Intelligenza Artificiale

L’Intelligenza Artificiale è una sottospecie particolare, evoluta e costosa delle tecnologie digitali. Queste vengono dette Information and Communication Technologies (ICT) e sono ad esempio computer, programmi, apparecchi elettronici vari. Rispetto a questo tipo di tecnologia più tradizionale, l’IA si distingue per la capacità di “apprendere da sola”, di sviluppare nuovi dati tramite l’interazione con l’ambiente esterno.

Si basa perciò su due elementi: oltre a una base di conoscenza (dati) fornita all’apparecchio in fase di programmazione, come avviene per altro con ogni altra tecnologia digitale, vi è un motore inferenziale[1] che si occupa di interpretare, classificare e applicare i dati. La capacità di acquisire nuovi dati e nuova conoscenza deriva proprio dall’interazione fra le due componenti della macchina.

Infine, per essere tale l’IA dev’essere capace di dimostrare almeno una delle seguenti capacità: percezione (es. riconoscimento vocale); comprensione (es. Natural Language Processing); azione (es. chatbot); apprendimento (es. Machine Learning).

Il primo programma di IA nasce nel 1956 e viene battezzato Logic Theorist. Serviva a imitare le capacità di problem solving degli esseri umani. Lo sviluppo dell’IA si arena fra il 1970 e il 1980, a causa delle grosse difficoltà tecniche e di ricerca. Si riparte sul finire del nuovo decennio, grazie alle applicazioni dell’IA nei processi industriali (seppur non tanto connessi con l’organizzazione del lavoro quanto piuttosto con l’organizzazione aziendale[2]). A quel punto si verifica un’ondata di investimenti nel settore dell’IA ma il contesto era prematuro e molte aziende falliscono, non ottenendo i risultati sperati. Alla metà degli anni ’90 si riparte quindi con lo sviluppo di programmi in grado di battere i campioni del mondo umani in alcune discipline[3].

I costi dell’IA

            Da quanto detto si può dedurre che, oltre alle difficoltà di una ricerca tecnologica che era e rimane sperimentale, lo sviluppo, la diffusione e l’applicazione di sistemi di IA presenti costi ingenti, tanto che un ciclo di investimenti serio e duraturo sta partendo soltanto oggi, col nuovo millennio. È questo forse il principale motivo per cui l’IA si diffonde principalmente nei paesi economicamente più potenti e, per quanto riguarda il lavoro dipendente, in quei settori delle filiere produttive che consentono maggiori profitti e quindi investimenti più grandi. Tali settori sono principalmente localizzati in quegli stessi paesi, ma con importanti differenze: probabilmente, infatti, non ci sarà paragone tra il livello di diffusione che l’IA potrà incontrare negli Stati Uniti o da noi, in Italia.             L’IA, dunque, incontra una diffusione parziale, relegata ad alcuni ambiti dell’economia produttiva (oltre che finanziaria) e limitata soprattutto ai paesi capitalistici più avanzati. Le categorie più toccate potrebbero essere collocate principalmente nei settori della commercializzazione del prodotto, della produzione e dell’assemblaggio hi-tech (es. settori farmaceutico e cinematografico), così come del ceto impiegatizio in generale (dalle fasce dirigenziali, in misura maggiore, alle categorie inferiori)[4]. Esempi di una diffusione meno invasiva o, talvolta, più localizzata di queste tecnologie possono farsi in riferimento anche agli operai della logistica, della manifattura e dei


[1] In campo informatico viene definito “motore inferenziale” un algoritmo chiamato a simulare le modalità con le quali la mente umana poi trae conclusioni logiche attraverso il ragionamento.

[2] Nasce R1/XCON (1978), programma per la gestione degli ordini di fornitura.

[3] Come ad esempio gli scacchi (nel 1997 l’IA batte il campione del mondo Garry Kasparov).

[4] L’IA si diffonde molto anche nella finanza, ma non ne tratteremo.

servizi (es. call center, fast food). Tuttavia, per il momento questa parzialità non ci sembra politicamente rilevante. Vediamo perché.

servizi (es. call center, fast food). Tuttavia, per il momento questa parzialità non ci sembra politicamente rilevante. Vediamo perché.

Gli effetti delle nuove tecnologie sui lavoratori

            Dal punto di vista degli effetti sulle condizioni e modalità di impiego del lavoratore dipendente, le ICT e l’IA non si differenziano poi tanto, se non per la natura estremamente più pervasiva e pericolosa della seconda fra le due. Questo vuol dire che tali effetti si stanno producendo già da diverso tempo – decenni – e che sono osservabili, almeno parzialmente.

In base agli studi nostri e di altri compagni, oltre che a un’inchiesta condotta fra circa cinquanta lavoratori e alcuni manager, l’immissione di tecnologia in azienda conduce a problematiche di tre tipi: intensificazione del lavoro; ergonomia del lavoro; controllo sul lavoro.

L’intensificazione indica un generale aumento dei ritmi lavorativi e la riduzione di pause e tempi morti (alcuni secondi fra un’operazione e l’altra, il tempo di scambiare due parole col collega, ecc.), nonché l’eliminazione di tutte quelle azioni che non producono direttamente un guadagno economico per l’imprenditore, dette Not Value Added Actions, come ad esempio gli spostamenti inutili (es. “camminare” o “allungarsi” per prendere un attrezzo che avrebbe invece potuto essere posizionato più vicino alla postazione di lavoro[1]).

Questa situazione di sfruttamento del lavoro è causa di alcune problematiche sulla salute psico-fisica (analogamente, del resto, a quanto accaduto nelle varie fasi di rinnovamento industriale dei secoli scorsi). Tra gli effetti sulla salute psicologica troviamo un aumento generalizzato di stress, ansia, depressione, ecc., documentato ormai da molte ricerche accademiche. Tra le conseguenze fisiche segnaliamo l’aumento degli infortuni da usura prolungata nel tempo, in luogo di quelli da trauma; nello specifico crescono i problemi agli arti superiori e, secondariamente, a schiena e gambe. La riduzione dei tempi morti e l’adozione di posture di lavoro sempre più fisse e immobili giocano un grande ruolo in questa dinamica, ma anche l’aumento dei ritmi in sé pone il lavoratore nella condizione di rinunciare spontaneamente a quelle posture ergonomiche spesso insegnate nei corsi di formazione che seguono l’assunzione, specie quando la persona è stanca per la giornata di lavoro.

Dal punto di vista del controllo, le nuove tecnologie favoriscono il monitoraggio dei comportamenti e delle performance del lavoratore, permettendo quindi di rendere economicamente più efficace l’impiego di un dipendente, mettendo “l’uomo giusto alla mansione giusta” e obbligandolo all’osservanza di una disciplina più rigorosa[2].

            Per completezza citiamo poi un’ultima applicazione dell’IA che può rafforzare tutte le problematiche appena citate: quella relativa al supply chain management, ossia alla sincronizzazione, standardizzazione e snellimento non delle singole operazioni di lavoro quanto, stavolta, dei singoli passaggi produttivi che la merce percorre fino a diventare un prodotto finito.

Esempi di tecnologie IA e ICT a confronto

Esempi di tecnologie tradizionali sono tutti quelli connessi al processo di informatizzazione della produzione industriale, avvenuto grossomodo a partire dagli anni ’80. Computer ed e-mail


[1] La permanenza del lavoratore in una postazione fissa è stata associata «a un rischio maggiore di problemi di salute fisica come il diabete, le malattie cardiovascolari, i disturbi muscoloscheletrici e l’obesità (Horton et al., 2018; Owen et al., 2011; Waters et al., 2016)». In “M. Soffia – R. Leiva-Granados – X. Zhou – J. Skordis, Does technology use impact UK workers’ quality of life? A report on worker wellbeing, The Pissaridies Review, Febbraio 2024, p. 10”.

[2] In questi anni il controllo è stato rafforzato, per fare degli esempi, attraverso l’utilizzo degli algoritmi nella logistica, tra i riders e i drivers, nelle aziende commerciali e della distribuzione… senza dimenticare la nuova metrica del lavoro imposta fin dalla fine degli anni Ottanta, dopo la nascita del modello Toyota, nei cantieri navali e nelle aziende meccaniche.

rendevano i ritmi delle comunicazioni tra colleghi più serrati, permettevano tempi di circolazione dei documenti molto ridotti e riducevano il tempo necessario per eseguire i calcoli, portando i lavoratori a incrementi di ritmi. Nella manifattura, quest’aumentata capacità di calcolo a disposizione del capitalista ha fatto sì che si potesse calcolare il tempo necessario ad aprire o chiudere una mano, allungare un braccio, alzare lo sguardo… in modo da calcolare il tempo totale di tutti i movimenti di lavoro necessari e ideali (con una precisione del decimillesimo di secondo) e costringere i dipendenti ad aderire a quei ritmi. Oggi è possibile simulare al computer l’esecuzione dei movimenti e ottimizzare la simulazione applicando programmi di IA che calcolino le maniere per eliminare ogni spreco di risorsa o di tempo, ogni errore, ogni inefficienza.

Un esempio di tale tecnologia è costituito dal famoso Overall Equipment Effectiveness (un misuratore dell’efficacia complessiva dell’impianto). I calcolatori informatici alle casse dei fast-food consentono già da tempo di ottimizzare le operazioni di fila e ridurre la manodopera necessaria, ma i sistemi di IA in grado di monitorare ogni operazione svolta dal singolo e di calcolare qual è il lavoratore con maggiori capacità socio-relazionali, in grado di far comprare di più i clienti, quello più bravo a stare in “linea di montaggio” durante la preparazione del pasto, e via dicendo, spingono i livelli di ottimizzazione delle operazioni (e quindi di aumento dei ritmi di lavoro) alle stelle. Un’azienda che produce software in grado di misurare i livelli di produttività giornalieri del singolo è la multinazionale europea Systeme, Anwendungen, Produkte in der Datenverarbeitung (SAP). Per quanto concerne il controllo, se le telecamere ampliavano le capacità di sorveglianza e controllo dell’imprenditore già all’epoca delle tecnologie ICT, oggi con l’uso combinato di GPS e IA si può fare di più: Digital Safety Advice, ad esempio, è uno strumento wearable con GPS che monitora se il lavoratore esce dall’area consentita, si toglie il casco o adotta altri comportamenti anomali. L’utilizzo di questo strumento difficilmente sarà circoscritto e disciplinato a livello contrattuale, determinando con ciò, più che un supporto alla sicurezza, uno strumento di controllo.

Facciamo solo alcuni esempi: le applicazioni di IA attualmente in uso presso i posti di lavoro di categoria inferiore sono decine o centinaia e sono, probabilmente, già abbastanza diffuse.

Spesso, tuttavia, operano in modo silenzioso, dietro le quinte, per potenziare sistemi ICT già in uso e che, pure, spesso i lavoratori (e i sindacati) conoscono poco. In particolare è piuttosto comune la cosiddetta “gestione algoritmica delle operazioni”, ossia l’organizzazione del lavoro in azienda sulla base di algoritmi che mutano e si adattano in base alle circostanze di contesto (IA). «La gestione algoritmica è una caratteristica distintiva delle piattaforme di lavoro digitali, ma è anche pervasiva nelle industrie offline, come i settori dei magazzini e della logistica»[1]; «L’implementazione di sistemi di gestione algoritmici, in particolare, è stata associata a un aumento dello stress, dell’esautoramento, della discriminazione, dell’insicurezza e dell’insoddisfazione dei lavoratori (Kellogg et al., 2020; Rosenblat & Stark, 2015)». Mettiamo in guardia, dunque, dal sottovalutare l’impatto dell’IA sui sistemi produttivi, e allo stesso tempo non crediamo che sia sufficiente dettare un sistema di regole nei contratti nazionali se poi non si ha un reale potere di contrattazione all’interno dell’azienda. Se il grosso “ha ancora da venire” e gli sviluppi futuri potrebbero essere tutt’oggi immaginabili solo in parte, dal punto di vista politico ICT e IA costituiscono già, attualmente, una “combinazione tecnologica” in grado di aumentare la produttività delle figure di livello inferiore in maniera trasversale a settori economici e categorie lavorative. I software che organizzano rotte per i corrieri in maniera da evitare che stiano fermi o tornino a casa prima del tempo, le applicazioni che impongono una chiamata dopo l’altra al lavoratore del call-center e registrano anche solo pochi secondi di inattività davanti allo schermo, i dispositivi vocali che dicono al magazziniere cosa fare e non lo fanno respirare, e via dicendo… Gli esempi che abbiamo incontrato sono questi e veramente molti altri. È bene diffidare, dunque, da


[1] P. Gmyrek – J. Berg – D. Bescond, Generative AI and jobs: A global analysis of potential effects on job quantity and quality, International Labour Organization, Agosto 2023, p. 43.

un’interpretazione dell’evoluzione tecnologica in azienda troppo dipendente dai criteri capitalistici: ICT e IA sono due sviluppi tecnologici distinti, corrispondenti a cicli d’investimento diversi nel settore hi-tech, ma dal punto di vista del lavoro dipendente, e quindi dal punto di vista sindacale, costituiscono un continuum.

Frammentazione e nuova unità della classe lavoratrice

In un momento storico in cui la classe lavoratrice non è in grado di elaborare e rappresentare le proprie necessità, per individuare ciò che accomuna le figure più disparate, i contratti più diversi, appalti e sub-appalti, ecc. è necessario osservare dove il nemico di classe indirizzi i suoi attacchi. In questa fase nei paesi di vecchia industrializzazione, come quelli europei, sembra essere relativamente più importante recuperare margini di competitività (sugli avversari “geopolitici”) aumentando la produttività. Laddove gli investimenti tecnologici per realizzare tali incrementi risultino troppo onerosi si può comunque procedere sfruttando eventuali spazi di deregolamentazione normativa del lavoro (es. lavoro nero o grigio, operazioni lavorative non pagate, ecc.) e, in generale, la precarietà contrattuale o le delocalizzazioni.

La situazione di attacco sopra descritta, tuttavia, è comune a gran parte dei lavoratori e delle lavoratrici: l’azienda aumenta la produttività, mentre il lavoratore lavora a ritmi più alti e perde in salute, libertà e autonomia, pur tuttavia senza guadagnare un solo centesimo in più. Eppure i profitti degli imprenditori aumentano e i lavoratori sentono il sacrificio.

Forse, allora, si potrebbe valutare la parola d’ordine di un’indennità di intensificazione del lavoro, indipendentemente dalla figura lavorativa e dall’inquadramento contrattuale. Più che sotto forma di pause o di un nuovo abbassamento dei ritmi, per i settori operai le priorità oggi sono i soldi e il tempo libero: qualunque sindacalista lo sa. Si potrebbe allora provare a rivendicare modifiche dell’istituto del premio di produttività, rivendicando che venga maggiormente centrato sugli aumenti produttivi dovuti alle implementazioni dell’organizzazione aziendale (all’interno delle quali rientrano le nuove tecnologie), oltre che sugli sforzi individuali del singolo.

Su questo punto vogliamo essere molto chiari: non proponiamo di accettare lo sfruttamento intensivo e tecnologico scambiandolo con pseudo-incentivi economici. Non saremo certo noi a pensare a qualche indennità contrattuale per addolcire la pillola, né pensiamo che sia sufficiente dettare alcune regole di partenza all’algoritmo o al processo tecnologico: non è certo questa la soluzione, così come la risposta non potrà essere quella del classico luddismo di secoli or sono. Tuttavia, ragionare su possibili rivendicazioni generali che raccolgano le contraddizioni trasversali ai settori lavorativi è, crediamo, un obiettivo politico.

Il contesto normativo

«Ad oggi, gran parte del dibattito sulla regolamentazione dell’IA ha ignorato i suoi possibili effetti sulle condizioni di lavoro (Moore 2023). Laddove si è discusso, l’attenzione si è concentrata soprattutto sugli standard volontari di etica dell’IA, ignorando le diseguali relazioni di potere insite nei rapporti di lavoro (Cole et al. 2022)»[1]. L’Artificial Intelligence Act, approvato il mese scorso dal Parlamento Europeo, in questo non fa eccezione: ignorando quasi totalmente il tema dell’utilizzo dell’IA nel mondo del lavoro, stabilisce solamente alcune fasce di rischio con cui categorizzare le varie tecnologie. Inoltre la normativa potrebbe svilupparsi nel senso di definire “rischiosi” più alcuni specifici utilizzi di queste tecnologie, che queste stesse di per sé[2]. Ciò crea la possibilità teorica di uno spazio politico per la


[1] Ibidem.

[2] Per un approfondimento si veda: https://cub.it/artificial-intelligence-act-approvato-il-13-marzo-2024/.

contrattazione delle modalità d’impiego delle tecnologie in azienda, qualora i lavoratori e le vertenze sindacali dovessero un giorno orientarsi anche in questa direzione. Del resto,

molti studi sostengono l’idea che i risultati del benessere derivanti dall’uso della tecnologia non sono predeterminati, ma altamente dipendenti dal contesto (Rohenkohl & Clarke, 2023) e sensibili a fattori quali il supporto organizzativo percepito, la cultura manageriale e l’ambiente sociale e politico (Briône, 2017; Lee et al., 2021). In particolare, i benefici sociali e materiali della tecnologia sul lavoro (…) sono spesso legati agli approcci organizzativi istituzionali e strutturali alla progettazione, allo sviluppo e all’impiego di queste risorse piuttosto che alla natura della tecnologia stessa (Gilbert et al., 2022; Hayton, 2023; Soffia et al., 2023). Gmyrek et al. (2023) sottolineano inoltre che gli impatti sociali più ampi dell’adozione tecnologica dipendono dalla sua governance, evidenziando l’importanza dell’impegno dei lavoratori, dello sviluppo delle competenze e delle tutele sociali come considerazioni istituzionali essenziali. Ad esempio, Hayton (2023) osserva che gli impatti storici dell’informatizzazione e di altre tecnologie sulla qualità della vita lavorativa sono stati determinati dalle filosofie manageriali, dall’eredità delle relazioni industriali dell’organizzazione e dagli investimenti nella formazione che sostiene l’adattamento della forza lavoro.

Nella stessa ottica, Berg et al. (2023) identificano il ruolo dei sindacati come un cruciale fattore tampone tra la robotizzazione e la qualità del lavoro[1][grassetti nostri].

Sarebbe utile riflettere anche su come si potrebbero rivoluzionare gli orari, i ritmi e i tempi di lavoro, nonché la nostra stessa retribuzione, con l’avvento delle nuove tecnologie. Il problema è quindi ben altro, ossia che il soggetto che governa i processi innovativi e tecnologici è indirizzato al raggiungimento di obiettivi diametralmente opposti a quelli delle classi subalterne. 

Fornire nuove rappresentazioni ai lavoratori

Al di là delle occasioni di lotta, pensiamo che dal punto di vista dell’educazione sindacale dei lavoratori sia utile fornire nuove rappresentazioni che trasmettano una visione il più possibile unitaria per le varie categorie che compongono il lavoro dipendente, sia per quanto riguarda gli attacchi portati avanti con le nuove politiche sul lavoro che per l’identificazione di problematiche e sofferenze trasversali, comuni, che possano così andare ad arricchire il concetto generale di una rinnovata identità lavoratrice. Altrimenti, in assenza di una rappresentazione adeguata e condivisa la gran parte delle persone continuerà ad addossarsi la colpa di ogni fallimento o malessere, associandoli alla propria vita privata nel trasporto di un diffuso senso di rassegnazione esistenziale.


[1] M. Soffia – R. Leiva-Granados – X. Zhou – J. Skordis, Does technology use impact UK workers’ quality of life? A report on worker wellbeing, The Pissaridies Review, Febbraio 2024, p. 12.

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