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Legge bilancio 2026 non incide sul reale

LEGGE DI BILANCIO 2026:

UN COMPITINO INSULSO A FAVORE DI CHI COMANDA

È stata varata dal governo la legge di Bilancio per il 2026. L’anno che viene si presenta come una tappa cruciale per il Governo Meloni, l’ultimo anno “pieno” della legislatura, in cui dispiegare l’armamentario utile per la creazione del consenso. Nel 2027 si vota e bisogna puntare a raggranellare il massimo delle croci sulla scheda per poter restare in sella: impresa non così difficile, visto che ai seggi si reca ormai la metà degli aventi diritto e con il sistema elettorale vigente basta conquistare un 25% di voti espressi per disporre di un’ampia maggioranza parlamentare. Dodici milioni di voti ed il gioco è fatto!  

La legge di bilancio si prefigge quindi di non scontentare nessuno e quindi di non spostare niente: infatti si basa sul nulla cosmico e serve solo a lasciare in pace i ricchi. È un provvedimento molto “draghiano”, assolutamente inadeguato ad affrontare le gravissime emergenze che attanagliano il Paese, l’economia, la società, il mondo del lavoro, la condizione di vita degli sfruttati e delle persone fragili. A partire dai problemi che sono sotto gli occhi di tutti: la deindustrializzazione, la perdita di competitività, la crisi della sanità, la precarietà dell’occupazione, l’ineguaglianza fiscale, l’impennata della povertà assoluta e relativa.

Il Documento Programmatico di Finanza Pubblica (la cornice della legge di bilancio) presentato alle Camere il 7 ottobre scorso ammetteva apertamente che la crescita è asfittica e tale rimarrà: 0,5% nel 2025 e 0,7% nel 2026 e nel 2027.

L’unica seria preoccupazione del governo è chiudere il bilancio del 2025 sotto il 3% come rapporto deficit/Pil (un risultato definito “fantastico” dal FMI). Questo consentirebbe al Paese di uscire dalla procedura d’infrazione entro il primo semestre del 2026 e quindi si potrebbe finalmente varare un bel piano di riarmo, finanziato a debito, con le spese conteggiate al di fuori del perimetro del patto di stabilità (che vincola l’Italia fino al 2031). Così il governo potrebbe cominciare ad alzare la spesa militare,dai 45 miliardi attuali fino a 150 miliardi l’anno, entro il 2035, per obbedire ai diktat degli Usa di Trump e della Nato di Rutte: questo e’ ciò che comporta l’impegno di portare la spesa al 5% del PIL.Vale a dire che nell’arco dei prossimi 10 anni i mediocri che sono al comando intendono spendere quasi 1.000 miliardi di euro nell’acquisto di nuove armi, prevalentemente di marca americana, ma anche “Made in Europe”, per fronteggiare la Russia o altri nemici immaginari.  

Di conseguenza la legge di bilancio 2026 è del tutto insignificante: il quadro tendenziale ed il quadro programmatico coincidono quasi esattamente, il che equivale a dire che la politica economica è morta, che basterebbe inserire un pilota automatico e che la differenza tra destra e sinistra è ormai indecifrabile.

Banche e assicurazioni

La manovra consiste in 18,7 miliardi di euro (la più debole dal 2014), con 10 miliardi di tagli alle spese e 8 miliardi di nuove entrate. Nuove entrate che dovrebbero arrivare per oltre la metà da banche e assicurazioni, ma sulla base di contributi “volontari”. In cifre, nel 2026 dovrebbero arrivare 4,4 miliardi, altrettanti nel 2027 ed altri 2,5 nel 2028. In totale undici miliardi nel triennio. Ma c’è da crederci?

Visto che questa voce rappresenta un’entrata così importante, sarà bene soffermarsi, con una piccola ricostruzione storica. Nel 2023 il governo voleva tassare al 40% gli “extraprofitti” bancari. Marina Berlusconi (che possiede Banca Mediolanum) si imbizzarrì e convocò Tajani perché si guadagnasse lo stipendio e facesse recedere il governo dai suoi propositi. Detto, fatto: il provvedimento cambiò natura e alle banche venne concessa l’opzione tra pagare la tassa o accantonare gli utili a riserva. Nessuna banca pagò nulla, tutte misero a riserva, in totale 6,2 mld di euro. Nelle casse dello Stato non entrò un centesimo.

Ora il governo chiede alle banche di tirare fuori le riserve del 2023 e “affrancarle”, cioè pagarle come dividendi agli azionisti: in cambio offre una tassazione agevolata del 27.5% anziché del 40%. Non c’è obbligo, ma solo incentivo. Il resto della cifra verrebbe fuori da un incremento di 2 punti dell’IRAP e da vari tipi di rinvio di partite deducibili, come già era stato previsto nella legge di bilancio del 2025. Le banche (e le assicurazioni, tirate dentro con anticipi su tasse future, da prelevare poi dai clienti) sembrano poco convinte di questo salasso e quindi che tutto questo funzioni, è ancora tutto da vedere.

PNRR

Per restare all’aumento delle entrate, l’altro pezzo importante arriva dal PNRR, che la premier dell’attuale governo aveva a suo tempo bocciato e respinto. Adesso viene comodo però, perché cinque miliardi dei fondi europei (che non si fa tempo a spendere) verranno utilizzati in sostituzione di risorse domestiche e andranno a finanziare le spese correnti della manovra (peraltro tagliate in modo lineare per due miliardi di euro).

Irpef

Se guardiamo all’altra colonna, nella lista della spesa, troviamo l’altro grande capitolo della legge: la questione dell’IRPEF, che, come sappiamo, viene pagata per l’80% da lavoratori dipendenti e pensionati. Il governo offre di abbassare di due punti (dal 35% al 33%) l’aliquota sul secondo scaglione (28.000-50.000 euro). Un risparmio risibile: chi guadagna 30.000 euro avrà 40 euro l’anno in più (3 euro al mese), chi ne ha 50.000 avrà 440 euro l’anno in più. Lo sconto vale fino a redditi di 200.000 euro, quindi i risparmi più consistenti vanno a chi ha redditi già più elevati o addirittura altissimi. In compenso chi sta sotto i 28.000 euro lordi annui (e sono 30 milioni di contribuenti, tra cui magari molti evasori, ma anche la parte più consistente del lavoro povero) non vedrà restituito neanche un centesimo.  

Il costo totale sarà di 2,8 miliardi. Ma solo il drenaggio fiscale nel triennio 2022-2024 ha portato via dalle tasche di lavoratori e pensionati 25 miliardi di maggiori tasse (10 volte tanto). Soldi che non verranno mai più restituiti!

Detassazione aumenti contrattuali

Per restare al tema lavoro, la novità emersa nelle battute finali parla di detassazione degli aumenti contrattuali ottenuti nel 2026 (o negoziati nel 2025), con un’aliquota ridotta al 5% su questa fetta di salario ma solo per i redditi inferiori ai 28.000 euro annui. Si ridurrebbe anche dal 5% all’1% l’aliquota applicata sui premi di produttività contrattati in azienda, una platea che riguarda solo una piccola parte dei lavoratori del settore privato (meno di 5 milioni di addetti).

Flat-tax e rottamazione

Per i suoi elettori e la sua base sociale invece il governo concede molto: oltre al mantenimento della flat-tax (aliquota 15% fino a 85.000 euro e addirittura solo 5% nei primi 5 anni di attività delle nuove Partite Iva), siamo alla rottamazione quinques, che coprirebbe le cartelle emesse fino a tutto il 2023, con rate da pagare in nove anni (senza sanzioni). Ma anche così non basta: chi aderisce paga in genere la prima rata per evitare ipoteche giudiziali sulle proprietà, poi interrompe i versamenti e ricomincia a evadere come e più di prima. Cento miliardi l’anno di evasione fiscale sono la cifra scandalosa che non accenna a scendere. E i dati parlano di quasi 200 miliardi di economia sommersa nel 2023, di un aumento di oltre 14 miliardi rispetto all’anno prima (il valore di una manovra!), e di oltre 3 milioni di lavoratori in nero.

Crisi demografica

Per la crisi demografica, il governo proroga il finanziamento all’80% di tre mesi di congedo parentale e alza da 40 a 60 euro l’assegno delle madri con due figli e ISEE sotto i 40.000 euro, ma il vero nodo (la precarietà e povertà del lavoro dei giovani) non viene minimamente affrontato. Per quanto riguarda l’accesso ai servizi in base all’ISEE, viene alzata fino a 92.000 euro la franchigia del valore della prima casa ma non si trovano i soldi per rendere detraibili le spese per i libri scolastici.

Pensioni

I dati eclatanti sull’occupazione rivelano solo che i lavoratori anziani non riescono più ad andare in pensione e la legge di bilancio non farà altro che peggiorare la situazione: la sterilizzazione dell’allungamento per le aspettative di vita non c’è e dal 2027 si comincia con un mese di allungamento, che diventano due nel 2028 (esentati solo gli addetti a lavori gravosi e usuranti, non quelli precoci). Altro che abolire la Fornero: la stanno peggiorando, sia per le pensioni di vecchiaia che di anzianità. Umiliante l’aumento di 20 euro al mese per chi ha la pensione minima.

Sanita

Alla sanità andranno 2,4 miliardi, una goccia nel mare, rispetto alle enormi esigenze di un settore in situazione catastrofica, tra mancanza di medici, di personale, di strumenti per garantire il recupero delle chilometriche liste d’attesa. E saranno soldi che al 40% saranno dirottati verso la sanità privata, mentre il resto serve a rinnovare i contratti e assumere qualche medico e infermiere in più (ne mancano ormai 180.000 in tutto il SSN ma ne entreranno solo 7.000, tra medici e infermieri).

Industria

Persino la Confindustria esprimeva giudizio negativo, prima della versione definitiva: chiedeva otto miliardi all’anno di nuovi incentivi alle imprese, da recuperare attraverso il congelamento delle aliquote IRPEF ai lavoratori, che sono stati salassati dal drenaggio fiscale. Senza contare che il 50% dei lavoratori ha il contratto scaduto e che il potere d’acquisto, secondo i dati Istat, è calato del 9% tra 2021 e 2025.

In ogni caso anche i padroni, come gli evasori, hanno avuto soddisfazione, perlomeno quelli titolari di medie e grandi imprese. Saranno loro a utilizzare i 4 miliardi previsti, nell’ambito di Industria 5.0: ammortamenti al 180% per chi fa investimenti di innovazione, al 220% per chi fa investimenti “green” per la transizione energetica. A cui aggiungere la conferma dei crediti d’imposta per le ZES (zone economiche speciali) e le ZLI (zone di logistica integrata), nonché il rifinanziamento della Legge Sabatini e dei contratti di sviluppo.

Conclusioni

Si tratta quindi di trarre le conclusioni e mettere al centro della lotta politica una piattaforma costruita sulle istanze sociali, che ribalti l’impostazione meloniana della legge di bilancio.

Una piattaforma che raccolga le idee e le proposte che sono presenti da anni nelle rivendicazioni dei sindacati di base, che mirano a risolvere problemi di struttura, e che possono oggi trovare nuova spinta dal grande ciclo di lotta che abbiamo appena vissuto attorno alla mobilitazione per Gaza.

Da un lato un modello di sviluppo rispettoso della natura e dell’ambiente, che produca nuova occupazione, di buona qualità e di tutela del lavoro.

Dall’altro un modello sociale che garantisca un reddito adeguato a tutti, lavoratori e pensionati, precari e garantiti, giovani e donne, con un adeguato sistema di servizi di welfare.

La giustizia fiscale deve garantire la progressività, e uguale tassazione per uguale reddito, anziché l’applicazione di aliquote diversificate su rendite finanziarie, lavoro autonomo, rendite immobiliari.  

Oltre a servizi sociali di qualità, deve essere garantito il diritto alla casa, attraverso nuovi piani di edilizia pubblica, per le fasce meno abbienti, le giovani coppie, gli studenti fuori sede.

L’enormità della disparità sociale, cresciuta in questi anni,richiede una tassazione straordinaria, prima una tantum e poi strutturale, dei grandi patrimoni e degli alti redditi.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi dobbiamo batterci per rovesciare il punto di vista collettivo sull’insulsa manovra Meloni e imporre un cambio di strategia politica, economica e sociale.

Giorgetti è contento che l’Italia sia tornata in serie A, secondo le agenzie di rating. Noi siamo stufi di restare da 30 anni in fondo alla classifica, per salari, servizi e diritti.  

​​​​​​​​Renato Strumia

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