Ma un altro dato dovrebbe essere preso in esame ossia la spesa sostenuta dai cittadini per servizi non erogati dal Servizio sanitario nazionale, parliamo di circa € 42 miliardi di euro per non parlare poi dei quasi 6 milioni di cittadini che hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per mancanza di soldi.
Senza entrare nel merito dei numeri possiamo parlare di effettivo cambio di rotta da parte del Governo? Non proprio se pensiamo che il FSN vede un certo incremento tra il 2025 e il 2026 ma poi si stabilizza e la percentuale di aumento non sembra tenere conto dell’invecchiamento della popolazione e dell’uscita della forza lavoro per sopraggiunti limiti di età. Non facciamoci allora ingannare dai numeri e dalle percentuali specie se quelli relativi ai prossimi anni prevedono pericolose oscillazioni e ribassi, dal 2027 infatti le risorse destinate alla sanità sono in diminuzione e senza avere recuperato nel frattempo i tagli degli anni passati.
Esiste poi, a segnalarlo è sempre la Fondazione Gimbe, un divario tra spesa prevista e risorse assegnate che “finirà inevitabilmente per pesare sui bilanci delle Regioni che, come recentemente documentato dalla Corte dei Conti, presentano conti sempre più in rosso. Per evitare il Piano di Rientro, le Regioni saranno costrette a scelte dolorose che ricadranno sui cittadini: ridurre i servizi o aumentare le tasse”.
Spunta allora la verità sulla manovra di Bilancio: le risorse assegnate alla sanità sono del tutto insufficienti e ben presto le Regioni dovranno adottare misure lacrime e sangue o feroci riduzioni di spesa perché i fabbisogni sanitari andranno a scontrarsi con le risorse realmente disponibili che essendo insufficienti non garantiranno al SSN di svolgere pienamente il suo ruolo.
La Manovra prevede la solita mancetta elettorale ossia l’incremento dell’indennità di specificità pari a € 280 milioni annui a partire dal 2026, ci chiediamo se non sia invece preferibile un incremento stipendiale duraturo nel tempo e soprattutto a partire dal cosiddetto stipendio di base ad esempio innalzando i salari, la paga oraria, gli inquadramenti contrattuali e al contempo porre fine a tutti i tetti di spesa da qui a 5 anni per aumentare gli organici e riportare i salari a guadagnare il potere d’acquisto perduto. Al contrario invece crescono le risorse destinate al privato, alla spesa farmaceutica, alla sanità privata e convenzionata in generale, l’esatto contrario di quanto era stato annunciato.
Chiudiamo citando integralmente alcune dichiarazioni:
“Nonostante gli annunci e le cifre altisonanti – conclude Cartabellotta, presidente GIMBE – la Legge di Bilancio delude le legittime aspettative di professionisti sanitari e cittadini, oggi alle prese con un Ssn che fatica sempre più a rispondere ai bisogni di salute della popolazione. L’analisi delle risorse destinate alla sanità evidenzia alcune criticità estremamente rilevanti. Innanzitutto, il boom di risorse riguarda solo il 2026, quando il Fsn aumenta di € 6,6 miliardi, di cui quasi due terzi derivano da stanziamenti precedenti e destinati ai rinnovi contrattuali del personale sanitario. Per il biennio 2027-2028, invece, gli importi assegnati sono esigui, senza alcun segnale di rilancio progressivo del finanziamento pubblico, come conferma la riduzione della quota di Pil destinata al Fsn. In secondo luogo, le risorse risultano disperse in numerosi rivoli: una scelta che mira a non scontentare nessuno, ma che priva la Manovra di una visione strategica per il rilancio del Ssn: le Regioni, già in difficoltà, si trovano così a operare con margini di bilancio sempre più stretti e a dover attingere a risorse proprie per colmare il gap tra le previsioni di spesa sanitaria e i fondi effettivamente assegnati.
Infine, la Manovra non prevede interventi strutturali per restituire attrattività alle carriere nel Ssn: gli incrementi contrattuali sono limitati, le misure per le assunzioni degli infermieri si scontrano con la grave carenza di professionisti disponibili – se non tramite reclutamenti dall’estero – e la formula ‘più lavori, più ti pago’, pur defiscalizzata, appare difficilmente sostenibile in un contesto di burnout diffuso. Nonostante la sanità pubblica rappresenti oggi la vera emergenza del Paese, le scelte politiche appaiono in continuità con quelle degli ultimi 15 anni. Anni in cui tutti i Governi hanno definanziato il Ssn e nessuno ha avviato un piano strutturale di rilancio del finanziamento pubblico, accompagnato da una coraggiosa stagione di riforme per ammodernare e riorganizzare la più grande opera pubblica mai costruita in Italia: quel Servizio Sanitario Nazionale istituito per tutelare la salute di tutte le persone. Un dato resta difficile da accettare: la capacità del Governo di trovare le risorse per altri settori strategici, come la difesa, non trova un corrispettivo impegno nel rafforzamento del Ssn, pilastro della nostra democrazia, strumento di coesione sociale e leva di sviluppo economico del Paese“.
(I dati in “Manovra. ‘Alla sanità 8 miliardi in tre anni, ma il Ssn resta in crisi’. Il rapporto Gimbe”, in Quotidiano Sanità del 23 ottobre)
