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Sanità pubblica e diritto alla cura

Che ci sia carenza di personale sanitario è cosa risaputa,  servirebbero 30 mila infermieri tra “infermieri di comunità” e quelli richiesti per le nuove “case di comunità”. A questo bisogna aggiungere i 4.500 medici nei pronto soccorso, il fatto che da qui ai prossimi due anni, tra pensionamenti e dimissioni, avremo 40 mila medici specialisti in meno, ricercatori e tecnici di laboratorio sono del tutto insufficienti e anche il personale amministrativo risulta in numero inadeguato alle necessità

Quale potrebbe essere la soluzione a un annoso problema che nonostante le ultime assunzioni resta  irrisolto (il nodo occupazionale e non solo) e di inaudita gravità?  Intanto dovremmo essere conseguenti agli impegni assunti due anni fa e porre fine al numero chiuso nelle Università per l’accesso alle facoltà sanitarie, poi, con quel coraggio politico oggi inesistente, rimuovere ogni tetto  di spesa in materia di assunzione nel SSN.

Non si tratta solo di ignavia politica ma di capire se vogliamo soccombere alle logiche tecnocratiche di Bruxelles e pensare di rispettare a ogni costo delle assurde regole che scaturiscono dal pareggio di Bilancio in costituzione e dal contenimento della spesa in materia di istruzione e sanità.

Quanto poi al numero chiuso nelle facoltà esistono poteri baronali duri da scalfire e trasversali agli schieramenti politici e per questo particolarmente forti . Stesso discorso vale per i fondi alla ricerca, siamo il Paese che celebra la notte dei ricercatori ma poi li affama e li precarizza.

I Paesi del Nord Europa cercano da tempo personale sanitario, ormai sono migliaia i medici, i ricercatori e gli infermieri italiani che si trasferiscono all’estero, dove vengono accolti con retribuzioni superiori e condizioni lavorative decisamente migliori dalle nostre. E nel frattempo  in Italia, al di là della retorica nauseabonda sui cervelli in fuga, in ambito sanitario si ricorre a cooperative di servizi, a interinali, a partite iva oltre al consueto massiccio ricorso ai contratti a tempo determinato.

A rigor di logica sembrerebbe un paradosso, mancano figure professionali in Italia e si lascia che scappino all’estero per poi assumere, con contratti precari, personale sanitario proveniente da Paesi nei quali magari la preparazione risulta inferiore. Ma non siamo davanti a un paradosso piuttosto a una scelta ben ponderata con un numero ridotto di concorsi banditi annualmente dal settore pubblico, il costante ricorso al terzo settore, o privato sociale come viene chiamato da molti\e, dove i lavoratori e le lavoratrici sono mal pagati a causa dell’applicazione di contratti sfavorevoli che determinano stipendi inferiori del 30\40 % (quando va bene) rispetto al CCNL Sanità.

Chiunque oggi voglia ragionare sui dati ufficiali non potrà certo biasimare il giovane, o meno giovane, sanitario che sceglie di trasferirsi all’estero per svolgere la propria professione ove percepirà anche salari più alti.

In un  recente convegno (link su La Voce.info: https://www.lavoce.info/archives/97799/linfermiere-arriva-da-lontano/) sono emersi dati allarmanti sull’emergenza sanitaria:

“La carenza di 6 milioni di operatori sanitari nel mondo, con una previsione di 18 milioni nel 2030. Già oggi gli Stati Uniti accolgono quasi 200 mila infermieri stranieri, il Regno Unito 100 mila, la Germania 70 mila. Per l’Italia la cifra è di quasi 40 mila, con fabbisogni stimati di almeno 60 mila, mentre nello stesso tempo esportiamo infermieri verso Svizzera, Germania, Regno Unito e altri Paesi. Il Covid ha inoltre comportato serie conseguenze per il benessere e la salute del personale ospedaliero, aggravando le necessità”. 

Il sistema sanitario italiano oggi è in crisi, come altri sistemi sanitari della Ue e del capitalismo avanzato, ma questa crisi ha origini lontane con decenni all’insegna di tagli e mancati investimenti.

Per avere un quadro esaustivo basta andare in rete e scoprire (si vedano i rapporti dell’Osservatorio Gimbe) quanto non è emerso nelle settimane della campagna elettorale.

“Tra il 2010 e il 2019 i fondi destinati alla sanità sono stati costantemente ridotti, il finanziamento pubblico decurtato di oltre € 37 miliardi, di cui circa 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie ed oltre 12 miliardi nel 2015-2019, quando alla Sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate per esigenze di finanza pubblica”.

Se vogliamo metterla in altri termini, i fondi destinati a scuola e sanità sono perfino inferiori al tasso dell’inflazione media annua. In 40 anni i posti letto negli ospedali e in terapia intensiva sono stati ridotti di almeno un quarto, progressivamente è avvenuto quel depotenziamento della sanità pubblica comune a quasi tutti i paesi Ue e dettato dalle regole di Maastricht per il contenimento della spesa pubblica. Ove più forte era la spesa pubblica maggiori sono stati i tagli e i definanziamenti, lo stato sociale è stato ridimensionato.

Nel 2010, nei paesi Ue, c’erano circa 574,1 posti letto ogni 100mila abitanti nelle strutture ospedaliere, 11 anni dopo i posti sono passati a 531,9 (circa 43 posti letto in meno ogni 100mila abitanti).

Alla fine di Settembre NON UNA DI MENO ha organizzato una giornata di mobilitazione in difesa del diritto all’aborto, un diritto da tempo  messo in discussione dallo strapotere dei medici obiettori, sono  ben 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia  che presentano il 100% di obiettori di coscienza tra medici ginecologi, anestesisti, infermieri o OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.

Di questo passo in molte province non sarà possibile garantire il diritto alla interruzione della gravidanza. 

Poi ci sono le oggettive responsabilità sindacali, numerosi sono i contratti nazionali che hanno rafforzato il welfare aziendale tradottosi in convenzioni con il privato per erogare prestazioni sanitarie e previdenziali, difficile pensare che gli stessi sindacati artefici di queste scelte possano difendere la sanità pubblica.

Il diritto alla cura e alla prevenzione è da tempo sotto attacco, ad esempio un fattore destabilizzante, che allontana la fiducia verso il pubblico, è rappresentato dalle interminabili liste di attesa per prestazioni sanitarie di vario tipo, in questa situazione il ricorso alle strutture private diventa una soluzione obbligata e si vanno rafforzando le convenzioni  all’interno del welfare aziendale.

Se il centro sinistra non ha difeso la sanità pubblica, difficile lo faccia FdI che parla di “coinvolgimento profondo nella sanità dei medici di medicina generale e delle farmacie pubbliche e private convenzionate” senza mai entrare nel merito della difesa e del potenziamento della sanità pubblica che necessita di risorse economiche per ammodernare gli ospedali e assumere adeguate figure professionali.

Il rilancio della sanità pubblica non potrà tuttavia avvenire senza rimettere in discussione i tetti di spesa e le regole di Maastricht che sono la causa dei tagli e dei definanziamenti dentro quella logica perversa di abbassamento del costo del personale che si accompagna alla diffusa  precarietà che riguarda, da anni, non solo le figure professionali sanitarie.

Difendere il pubblico necessita di scelte coraggiose, a partire dalla denuncia dei tetti di spesa e dei parametri imposti da Bruxelles.

Delegati e lavoratori indipendenti Pisa

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