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Rete sindacale internazionale: lavoratori immigrati a Londra

Chianciano, Sesto incontro Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e Lotta, tra i delegati presenti anche un rappresentante del sindacato inglese United Voices of the World, basato a Londra e attivo dal 2014, nella Rete da cinque anni, una sigla sindacale che segue da vicino e principalmente i lavoratori immigrati dei servizi, una quantità di lavoratori del ‘sottobosco’ londinese, sfruttati e platealmente discriminati rispetto ai colleghi di nazionalità inglese.
Come ci spiega Eraldo Strumiello, cuoco brasiliano di origini italiane che lavora in un ristorante londinese da qualche anno ed è sindacalista a fianco di molti che come lui sono arrivati in Inghilterra da molto lontano e vivono condizioni di lavoro ridotte ai minimi dal punto di vista dei diritti e della dignità.

Si tratta di lavoratori provenienti in gran parte da Paesi dove non ci sono grandi prospettive e che arrivano in Europa, in questo caso a Londra, sperando in un futuro di lavoro e integrazione, che consenta di costruirsi un’esistenza migliore per sé e la propria famiglia ma che una volta in UK, in questo caso nella Capitale, sono costretti ad accettare contratti capestro e trattamenti che li obbligano a doppi turni, lavori aggiuntivi per sopperire alle necessità di base che a Londra prevedono costi proibitivi (affitti, trasporti e spese vive spropositate per chi non possa contare su stipendi molto alti) e che spesso non contemplano il rispetto di turni di riposo, diritto alle vacanze, previdenza sanitaria e sociale degna di questo nome.

“Parliamo di migliaia di persone impiegate in ristoranti, hotel, ospedali, ditte di pulizia che vengono pagati un tanto all’ora per il lavoro svolto quotidianamente e che non hanno accesso ai benefit e alle tutele di cui invece godono i colleghi inglesi. Molti di loro provengono dal Sud America, dal Nord Africa, molti anche da Paesi asiatici a cui vengono proposti contratti a zero ore – un modo come un altro per pagamenti assimilabili al cottimo – e che in molti casi nemmeno conoscono i diritti che dovrebbero loro essere garantiti come lavoratori.
I sindacati tradizionali non si occupano di questi lavoratori, tra cui moltissime donne, per questo il nostro sindacato è dedicato a chi come loro non ha voce e rappresentanza – attualmente a Londra contiamo circa 3000 iscritti al nostro sindacato – persone che per i costi proibitivi degli affitti vivono in periferia o anche fuori dal circondario londinese e sommano più di un impiego, con i relativi spostamenti, vivendo in appartamenti e camere in condivisione con altri lavoratori. Solo per fare un esempio e darvi un’idea del costo della vita a Londra, una camera in città costa mediamente 1000 pounds e anche se si rimane lontani dal centro, dove invece si trovano solitamente i luoghi di lavoro in cui sono impiegati gli addetti ai servizi, bisogna considerare le spese per treni locali, metropolitane e i tempi di spostamento imposti dallo svolgimento di servizi per più di un committente alla volta.”

“Stiamo entrando proprio ora nel vivo delle lotte che intendiamo perseguire a favore del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di queste persone, tra cui la maggioranza sono donne spesso con figli a carico, che si rivolgono a noi spinte dalla necessità di emergere da questa condizione di sfruttamento feroce. Si tratta di una battaglia di civiltà per superare l’evidente discriminazione di trattamento applicata dai committenti che contano sullo stato di bisogno e non conoscenza dei basilari diritti dei lavoratori.
Una cosa di cui andiamo orgogliosi comunque è vedere quante donne si rivolgono a noi per emanciparsi dall’isolamento e dalla discriminazione – nel nostro sindacato abbiamo anche un settore dedicato alle discriminazioni di genere e al mondo LGBTQ – una discriminazione che riguarda persone di diverse nazionalità e provenienza, accomunate dalla difficoltà di accedere a un sistema produttivo che mira al massimo profitto.
Un settore in cui abbiamo iniziato a ottenere dei risultati concreti, ma in cui ancora molto resta da fare, è quello ospedaliero, dove gli addetti ai servizi sono tanto utili quanto tenuti schiacciati verso il basso e faticano a trovare rappresentanza.”

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