Sono partite le assemblee per approvare il rinnovo del CCNL bancari, siglato il 23 novembre scorso tra ABI e sindacati firmatari di categoria.
Come tutti sanno, gli aumenti previsti dal rinnovo sono già stati messi in busta paga ed è stata pagata anche l’una tantum per il periodo luglio – novembre 2023. I primi sei mesi del 2023 sono stati “abbuonati” alle banche, anche perché i sindacati avevano presentato la piattaforma con 6 mesi di ritardo, rispetto alla naturale scadenza del 31.12.2022.
Un rinnovo arrivato, quindi, con quasi un anno di ritardo e con un divario davvero rilevante rispetto alla piattaforma presentata. Una piattaforma che aveva visto un’adesione bulgara, nella consultazione assembleare, e che avevamo approvato anche noi, perché sembrava davvero rappresentare una svolta nella storia contrattuale della categoria.
Come abbiamo già scritto in un volantino precedente, riteniamo che questa sia stata un’occasione perduta per vedere cambiare le cose: si può dire che i sindacati hanno sbagliato un goal a porta vuota, vista anche la profonda divisione emersa nel fronte ABI e le aperture quasi imbarazzanti del capo-azienda di Intesa Sanpaolo, disponibile a concedere gli aumenti senza discutere.
C’erano le condizioni per ottenere davvero tutto: un livello di profitti delle aziende senza precedenti (25 miliardi nel 2022, quasi 30 attesi nel 2023); una totale disfatta del governo sul fronte della tassa sugli extra-profitti bancari (soldi che andranno tutti a riserva); un tasso d’inflazione ai massimi storici, che non vedevamo dalla metà degli anni ’80.
L’unico risultato concretamente tangibile è stato l’aumento economico, pari alla richiesta presentata di 435 euro lordi per la figura media del 3A4L con 7 scatti di anzianità. Nessuna delle altre richieste economiche è stata discussa, con eccezione del ripristino del perimetro su cui maturano TFR e contributi alla previdenza complementare (bloccato dal 2012).
Abbiamo già detto dello sconto per i primi sei mesi del 2023, su cui non scattano aumenti; la durata del contratto è prorogata al 31.03.2026 e gli aumenti vengono scaglionati nel tempo, in quattro diverse rate.
“Tutto qui l’aumento?”, titolava un volantino sindacale dopo l’erogazione degli aumenti e dell’una tantum a dicembre: rifletteva bene lo stato d’animo dei lavoratori, illusi da una campagna promozionale del nuovo contratto che aveva assunto toni fantasmagorici…
E in effetti la delusione è stata secca, perché queste cifre tanto decantate hanno lasciato il posto a numeri molto più modesti, dopo il pagamento di tasse e contributi: quasi una partita di giro tra le banche/datori di lavoro e l’erario statale. Una tassazione Irpef con aliquota marginale del 35% (fino a 50.000 euro annui) e del 43% (oltre i 50.000 euro); una tassazione locale quasi sempre superiore al 3%; una contribuzione Inps al 9%. Un prelievo complessivo vicino o superiore al 50% dell’intero importo, che la dice lunga sull’ingiustizia fiscale del sistema italiano e sulla necessità di cambiare le cose, a livello generale e non solo settoriale.
Nonostante l’evidenza dei dati, ormai cristallizzati in busta paga, abbiamo dovuto anche assistere ad un teatrino ridicolo, se non fosse drammatico.
In un suo report la Fisac-Cgil esalta il nuovo CCNL sostenendo che l’aumento economico conquistato batte l’inflazione di ben otto punti percentuali. Per costruire questa palese falsità confronta l’aumento lordo complessivo nel triennio (15% + 3% di trascinamento pregresso), con l’inflazione 2023-2024-2025 (poco superiore al 10%). È evidente che viene totalmente ignorato il 2022, anno in cui l’inflazione misurata con l’indice NIC ha superato il 12%, mentre l’aumento scattato in base al contratto 2019 era stato appena di poco superiore all’1%.
Non si tratta dunque di un contratto che batte l’inflazione, ma che invece perde totalmente l’inflazione 2022 e si traduce in aumenti netti che certificano la perdita reale di potere d’acquisto per almeno 15 punti percentuali nel lasso di tempo 2022-2025 (periodo su cui è più corretto conteggiare la durata).
Ma tutto questo non ci esenta dalla valutazione di quanto prevede il contratto dal punto di vista normativo, confrontata con quello che era l’impianto della piattaforma.
Una riduzione d’orario limitata a 30 minuti settimanali, rispetto alla richiesta che puntava a conquistare le 35 ore settimanali.
La continuazione del contributo al FOC con una giornata di banca ore/festività soppresse, nonostante l’accumulo di ben 145 milioni di euro inutilizzati (perché neanche con questi incentivi le banche assumono!); oltre tutto aumentano ancora gli importi erogati alle aziende e si finanzia anche (parzialmente) la riduzione d’orario dei lavoratori vicini alla pensione che scelgono il part-time.
Nessun impegno esigibile delle banche sul fronte della tenuta occupazionale e del sostegno della rete filiali, soprattutto in termini di sostituzione del turn-over.
Nessuna seria modifica che possa aiutare i lavoratori a difendersi dalle pressioni commerciali, perché tale non può essere l’indagine di clima affidata a parti terze, tesa ad approfondire una situazione che è ben conosciuta da tutti, da anni, e che non ha visto soluzioni di sorta.
Tutto il resto è stato sottoposto a marginali ritocchi che non incidono sulla vera condizione di lavoro e di vita di una categoria in profonda crisi occupazionale, professionale e lavorativa.
Non possiamo che rifiutarci di condividere questa chiusura del contratto, che non affronta, ancora una volta, i problemi più profondi del lavoro in banca, oggi.
Riteniamo che ad aumenti già erogati e a vicenda chiusa, non ci resti che ASTENERCI nel voto sul rinnovo del contratto: continueremo a lavorare in direzione ostinata e contraria per costruire un’alternativa organizzativa e un diverso punto di vista nell’elaborazione sindacale.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni
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f.i.p. 24.1.2024