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I centri estivi non ci sono più

Una inchiesta di Openpolis induce ad aprire una seria riflessione sul depotenziamento del welfare universale, evidenziando la disparità di accesso ai servizi per minori nelle varie regioni italiane: https://www.openpolis.it/laccesso-dei-minori-ai-centri-estivi-e-alle-attivita-di-doposcuola/

Due considerazioni preliminari si rendono necessarie prima di ogni ulteriore valutazione per inquadrare correttamente  il problema: i servizi socio educativi da offrire alle famiglie all’indomani della chiusura delle scuole dovrebbero rappresentare una priorità per gli Enti locali al fine di potenziare il welfare e garantire alle classi sociali meno abbienti opportunità loro precluse per la scarsa disponibilità economica che impedisce l’iscrizione dei figli a corsi, stages e soggiorni a pagamento. Al contempo i centri estivi potrebbero essere anche occasione propizia per recuperi scolastici, approfondimenti culturali e attività sportive, al fine non solo di garantire il cosiddetto benessere psicofisico ma anche favorire la integrazione sociale che passano dall’offerta di questa tipologia di servizi.

Al contrario la questione viene inquadrata in un’altra ottica, quella della conciliazione tra lavoro e vita familiare, in questa ottica non si coglie la natura socio educativa dei servizi estivi come del resto anche la necessità di doposcuola non a pagamento che la Istruzione pubblica dovrebbe garantire. E non mancano esempi nei quali lo stato abdicando al proprio ruolo abbia demandato le soluzioni al welfare aziendale con accordi sindacali di secondo livello che impegnano sindacati e aziende a organizzare servizi estivi. Un tempo esistevano le colonie estive offerte dalle grandi aziende, pubbliche e private, ai figli dei dipendenti, oggi si preferisce rinunciare a parti del salario contrattando questa tipologia di servizi (ma assai di rado accade) nella contrattazione di secondo livello dando per scontato che il welfare universale debba essere comunque progressivamente ridimensionato.

Questione di punti di vista o se preferiamo di approccio alla realtà, se guardiamo alla soluzione di un problema in termini di servizi offerti a pagamento o se invece inquadriamo gli stessi servizi in una ottica inclusiva, di potenziamento del welfare e fuori dalle logiche di mercato. Le attività ludiche, sportive, culturali e educative rappresentano un costo che lo Stato o gli Enti locali scaricano interamente, o quasi, sulle famiglie alle quali spetta sopperire alla perdita di apprendimento durante le lunghe pause scolastiche estive oltre a rappresentare anche un problema logistico se non ci sono familiari, ossia i nonni, disposti ad accudire bambini\e quando sono chiuse le scuole

Openpolis denuncia la disparità di accesso dei minori a centri estivi e doposcuola, una disparità acuitasi nel corso degli anni se pensiamo che in alcune regioni del centro nord i cosiddetti campi solari organizzati dal terzo settore hanno subito una forte contrazione trovando sovente poca collaborazione nelle autorità scolastiche, negli Enti locali (per quanto concerne il servizio scuolabus e il supporto logistico)

I dati sono di alcuni anni or sono e quindi da aggiornare ma ormai è acclarato che meno del 10 per cento dei minori italiani tra i 3 e i 14 anni ha accesso a centri estivi o attività pre e post scuola, se guardiamo poi ai figli dei migranti la situazione è ancora più drammatica.

Una situazione annosa che non dipende solo dalle crescenti e profondissime disparità regionali e locali legate all’offerta di questi servizi educativi e sociali ma a una deliberata scelta di natura politica e sociale.

Ovviamente le disparità territoriali contano, e non poco, se pensiamo che i servizi offerti nel Nord sono di gran lunga superiori a quelli del Centro e del Sud Italia dove l’offerta dei servizi in questione è quasi inesistente, ma è proprio l’approccio collettivo ad essere sbagliato. Parliamo di servizi per anni demandati al terzo settore dopo un breve periodo nel quale erano proprio le strutture pubbliche a farsene carico, se poi società sportive e terzo settore sono meno presenti nelle aree meridionali dovremmo porci ulteriori domande.

Ma la domanda dirimente, e senza risposta, riguarda, il ruolo del pubblico e la ragione per la quale non siano presi in esame questi servizi in una ottica di potenziamento del welfare a conferma che la erosione dello stato sociale, dell’offerta educativa, sociale e formativa è iniziata da tempo e la illusione di affidare al terzo settore e a società sportive un compito spettante allo Stato ha rappresentato la classica foglia di fico per occultare la realtà.

I piccoli Comuni presentano poi ulteriori difficoltà e tanto più piccolo diventa il territorio di riferimento quanto minore risulta l’offerta di servizi e a questo punto dovremmo indagare sulla crisi degli Enti locali, sulla carenza cronica di risorse economiche loro destinate.

Un ragionamento simile andrebbe poi esteso ai dopo scuola che ormai sono una rarità e a costi inaccessibili per molte famiglie.

La riconquista di un welfare universale adeguato ai reali bisogni dovrebbe rappresentare una rivendicazione prioritaria per il mondo sindacale e politico, si opta invece per soluzioni tampone e per la riduzione del danno quando invece si evita clamorosamente di affrontare il problema.

di Federico Giusti CUB Pisa

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