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I cortei del 28 novembre, sciopero generale

Oggi, venerdì 28 novembre, ancora una volta a migliaia sono scesi nei cortei organizzati in tutto il Paese, in continuità con le mobilitazioni degli scorsi 22 settembre e 3 ottobre, che già avevano richiamato un numero impressionante, e anche imprevisto, di partecipanti: lavoratori, pensionati, studenti di scuole superiori e Università – che anche oggi hanno partecipato con visibile entusiasmo e determinazione nell’affermazione di un deciso no alle politiche di guerra e alla sistematica oppressione dei diritti del popolo palestinese – famiglie, cittadini comuni, in tanti si sono aggregati anche lungo il procedere dei cortei nelle città.


Decine di migliaia di persone hanno quindi marciato per kilometri a Milano, Roma, Genova, Bologna, Firenze, Pisa, Napoli e in tante altre piazze, contro una Finanziaria declinata sul versante della Difesa e degli investimenti in armamenti, con una previsione di spesa di 130 miliardi di euro nei prossimi quindici anni, a partire da una prima tranche da 20 miliardi messa in programma per il triennio 2026-28, una Legge di Bilancio modesta, tarata per far sì che l’Italia possa uscire dalla procedura d’infrazione determinata dai parametri europei ma che taglia a mani basse sul welfare state: in primis sulla sanità, dove le liste d’attesa interminabili sono ormai quotidianità, dove mancano i fondi necessari per assumere personale medico e paramedico mentre prende sempre più spazio la sanità privata, a tutto vantaggio di chi può permettersela e che spinge a puntare sulle assicurazioni private e sulle convenzioni, in una deriva che richiama il modello statunitense in cui se perdi il lavoro o non guadagni a sufficienza non ha diritto alle cure. Un sistema sanitario che ha visto un incremento di soli 2 miliardi rispetto alle carenze da colmare che già in era pre Covid assommavano ad almeno 15.

Non parliamo dei trasporti, per cui non sono previsti investimenti degni di nota per il trasporto locale, per le infrastrutture e la sicurezza ferroviaria e per cui invece si pensa a investire una cifra abnorme per costruire il ponte sullo Stretto di Messina. Anche la scuola non riceve nulla, anzi i tagli arrivano a 800 milioni mentre da anni vengono prosciugate le risorse per l’edilizia scolastica, per gli insegnanti di sostegno e il recupero di chi resta indietro, il tutto in un sistema scolastico dove viene dato sempre più spazio alla retorica patriottica, nazionalista e militarista – d’altra parte anche Oltralpe Macron ha più volte tenuto a ricordare ai suoi concittadini che dovranno prepararsi all’idea di vedere morire i propri figli in guerra, visto quello che i nostri statisti immaginano per le sorti dei popoli europei.

Anche per i salari, ormai completamente slegati dalla reale crescita dell’inflazione, non si accenna ad alcun correttivo, non si pensa minimamente a reintrodurre forme di sostegno al reddito – quello di cittadinanza ormai un ricordo – e anzi i rinnovi contrattuali riportano in auge l’indice ipca che non fotografa la drammatica situazione vissuta da milioni di lavoratori e famiglie, ormai impossibilitati a sostenere la crescita dei prezzi al consumo, dell’energia e delle locazioni, altro tema dolente a cui però il Governo non sembra prestare attenzione, con città come Milano dove anche la classe media fatica a trovare spazio e che costringe molti a trasferirsi lontano dai luoghi di lavoro, da raggiungere poi con trasporti pubblici per cui, come detto, poco o nulla si investe.

In tutto questo, il Governo mette mano anche alla Legge sullo sciopero – già una delle più stringenti in termini di regolamenti in Europa – e tenta la via del referendum per la riforma della Giustizia, per ridimensionare l’autonomia della magistratura. Idem, dal punto di vista della volontà di controllo, i tagli e il progetto di internalizzazione dell’Ispettorato del Lavoro nel Ministero.  
Quindi nulla è stato fatto per ridurre la precarizzazione del lavoro, che ormai rappresenta lo standard per giovani e meno giovani, nulla per arrivare a determinare e rendere norma vigente l’applicazione di un reddito minimo da lavoro, né tantomeno per adeguare i salari al reale costo della vita, come avveniva prima che la scala mobile fosse archiviata.

Quello che si chiede è un cambio radicale nelle scelte di politica economica, del lavoro e della fiscalità, per una patrimoniale sui redditi a sei cifre e oltre, per una tassazione maggiore sugli extra profitti e che guardi agli investimenti per far crescere la ricerca, i servizi, le infrastrutture e che rilanci davvero i consumi, per una legislazione del lavoro che ponga al primo posto la tutela della sicurezza e argini una volta per tutte la piaga delle morti e degli infortuni ormai endemica.

Oggi in sciopero anche i giornalisti, che lamentano sfruttamento precarietà e rischio per la tenuta di un sistema dell’informazione libero e non asservito agli interessi di parte e padronali, l’edizione in forma ridotta del Tg3 delle 19 riporta comunque una nota sulla giornata di mobilitazione nazionale indetta dai sindacati di base. (Link al servizio, dal minuto 3:26)

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