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III Congresso Cub pubblico impiego

Il terzo congresso della CUB Pubblico Impiego si svolge in una crisi epocale del “sistema capitalistico occidentale”, caratterizzato da una devastazione economica interna, guerre neocoloniali e perdita di potere degli Stati nazionali a favore della Comunità Europea, quest’ultima vassallo degli interessi anglo-americani.
Questa cornice tutt’altro che rassicurante, porta con sé ripercussioni sull’organizzazione della società, con interventi legislativi e tecnologici che servono a reprimere qualsiasi possibilità di dibattitto e cambiamento del paradigma capitalistico-centrico, spostando enormi risorse finanziare pubbliche a favore delle grandi multinazionali, che condizionano di fatto la politica americana, inglese e conseguentemente degli Stati-colonie U.E.

Un esempio palese, ma forse non capito da molti, è stato il triennio del Covid 19: In questo periodo sono stati spesi 865 miliardi per far fronte alla crisi sanitaria ed economica solo nel 2020! Stanziati un totale di 2.364,3 miliardi di euro per la ripresa economico-finanziaria per gli anni 2021-2027, di cui 1.074,3 miliardi di investimenti per la transizione digitale, verde e di resilienza. Ricordiamo che questi finanziamenti che gli Stati ottengono derivano da tassazioni e imposte alla popolazione europea, nonché attraverso finanziamenti a debito presso crediti bancari, che andranno restituiti. *
Al termine della dichiarata pandemia nel nostro Paese il Sistema Sanitario Nazionale, ora parcellizzato in Sistemi Sanitari Regionali o Provinciali, si è scoperto più povero, con poche o nulle risorse messe a disposizione dello Stato se non per la famosa triade: digitalizzazione – transizione verde – resilienza.
In questo disastroso quadro sanitario, economico e sociale dove l’economia europea nel solo 2020 ha registrato un calo del – 6,1% del PIL, con un debito lordo consolidato per quell’anno del 90% , la U.E. registra nel 2023 l’82% del debito rispetto al PIL, con l’Italia superiore al 100%, sperando in un lieve miglioramento di qualche decimale per gli anni futuri. **

La U.E. non ancora ripresa dal “delirio pandemico” si lancia in una guerra per procura contro la Federazione Russa, devastando ulteriormente la propria economia interna. L’Unione Europea per la guerra in Ucraina spende subito 59 miliardi di euro arrivando a 241,8 miliardi all’11/2024. Sempre nello stesso anno mette sul piatto 426 miliardi di euro per il riarmo e la difesa, fino al 2027. Dopo le dichiarazioni U.S.A. del gennaio 2025 sul finanziamento alla guerra in Ucraina e alla NATO, la Commissione europea vara un pacchetto di 800 miliardi di euro di spesa per la difesa comune, imponendo l’esborso ai singoli Stati dal 2% al 5% annuo del PIL nazionale, si prepara a chiedere prestiti al settore finanziario, che coglie con favore tale domanda, dopo l’abbuffata di denaro ricavato dall’era pandemica.
La guerra contro al Federazione Russa e per il Riarmo solo nel 2024 per l’Italia ha un costo di 35 miliardi, 96 milioni di euro al giorno, contro i 20 miliardi stanziati dal Governo per i rinnovi contrattuali di tutto il Pubblico Impiego nelle 3 tornate contrattuali: 2022-2024, 2025-2027 e 2028-2030, un’inezia a confronto.

Questa premessa serve per inquadrare il periodo in cui stiamo vivendo, le ideologie che muovono le politiche dell’U.E. che niente hanno a che fare con gli interessi dei lavoratori europei, sia pubblici che privati.
Nei siti ufficiali dell’Unione Europea le Amministrazioni Pubbliche vengono viste come un fastidio che contribuiscono al debito pubblico del 3,5 % del PIL europeo, non come un’ossatura importante degli Stati nazionali. Sottolineano che il PIL U.E. ha un valore totale di 17 miliardi di euro, dato da tutti i beni e servizi che rappresenta il 72% del totale, mentre l’industria rappresenta quasi tutto il resto. Della produzione di PIL europeo la Germania detiene la maggiore quota, seguita da Francia e Italia.**
Queste scelte incidono profondamente anche sul piano politico/istituzionale del nostro Paese. L’ alternanza tra centro sinistra e centro destra è solamente un teatrino per il popolino che ancora si illude, che con il solo voto, possa cambiare la dirigenza dello Stato italiano.
Forse molti lavoratori hanno capito tale inganno, e per questo sale l’astensionismo. Nelle varie “alternanze politiche” non è mai stato minimamente intaccato il quadro economico e sociale, contrassegnato da una feroce guerra di classe dall’alto verso il basso che ha prodotto, nell’arco di pochi decenni, il trasferimento di immense ricchezze dai salari ai profitti e alle rendite. Il tutto in ossequio alle direttive delle istituzioni europee sulla riduzione del debito pubblico prima, da perseguire attraverso il taglio della spesa pubblica con rigorose politiche di bilancio (fiscal compact, pareggio di bilancio, tagli alla spesa previdenziale ecc.) e ora per la sicurezza europea.

Non si tratta di una enunciazione ideologica ma di un fatto tangibile e reso ancor più evidente negli ultimi anni dai dati relativi alle diseguaglianze:
secondo le rilevazioni Oxfam nel 2024 in Italia il 10% dei cittadini più ricchi possiede il 75% della ricchezza nazionale, nello stesso anno la ricchezza dei miliardari italiani è aumentata di 166 milioni di euro al giorno, raggiungendo il valore complessivo di 275,5 miliardi di euro concentrati in 71 individui. Fa da contraltare 5,7 milioni di persone in povertà assoluta, il 9,7% sulla popolazione totale, e a rischio di povertà e di esclusione sociale il 21,3%.
Una catastrofe sociale, frutto di anni passati a smontare il welfare costruito dalle lotte operaie e salariali, a ridurre la “progressività” dell’imposizione fiscale, privatizzare i servizi e a comprimere i salari in nome della competitività sul mercato.
Ritenendo necessario non perdere di vista questi aspetti di ordine generale, nel congresso del pubblico impiego ci limiteremo ad analizzare le ricadute avvenute nella Pubblica Amministrazione e nei contratti dei lavoratori pubblici.

L’attacco al pubblico impiego e più in generale allo “stato sociale”, è stato uno dei tratti distintivi di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Recependo le direttive provenienti dai centri di potere europeo, la pubblica amministrazione ha rappresentato uno dei campi privilegiati di investimento e valorizzazione dei capitali privati.
Illuminante è stata la famosa lettera di Draghi che testualmente recitava “incoraggiamo il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese”.
Non poteva essere espresso in maniera più chiara ed esplicita lo scopo di passare da un’amministrazione al servizio dei cittadini a una al servizio del capitale privato.
In pochi anni abbiamo infatti assistito alla cessione di interi pezzi dei servizi pubblici a imprese e cooperative, a partire dai settori più redditizi quali la sanità, i servizi educativi
e socio-assistenziali, culturali, servizi di rete, manutenzioni, ecc.

Per favorire questo ingresso dei capitali privati, la Pubblica Amministrazione è stata oggetto, a partire dagli anni ’90 e senza soluzione di continuità, di reiterati interventi/riforme basati su alcuni pilastri:

 Dapprima è stata costruita una campagna politica e mediatica contro la P.A., accusata di essere un corpo burocratico elefantiaco, percepito come principale ostacolo agli investimenti nel nostro Paese, di gravare pesantemente sui bilanci statali e sull’aumento del debito pubblico, di essere inefficiente, seguita dalla campagna denigratoria nei confronti dei lavoratori pubblici, basata su episodi isolati, usati sapientemente dal punto di vista mediatico, che ha costituito il retroterra culturale su cui costruire l’ideologia dello Stato che non funziona e la conseguente necessità di cedere ai privati la gestione dei servizi pubblici;

 Con il taglio dei trasferimenti statali alle autonomie locali e alla sanità pubblica è stato dato un colpo decisivo a livello quantitativo e qualitativo dei servizi, in poche parole all’ossatura dello stato sociale, offrendo agli Amministratori la facile carta da giocare per avviare le politiche di privatizzazione/esternalizzazione anche a livello locale.

 La “spending rewiew”, che ha colpito settori importanti come la sanità pubblica, i Comuni, le strutture delle Amministrazioni centrali, le Province e del Corpo Forestale dello Stato, con il progressivo svuotamento delle Funzioni e del personale mai sostituito e integrato, trasferendo pezzi importanti di questi settori alle varie società che in base ai colori del governo hanno acquisito negli anni un potere a dir poco totale della gestione di fondi e opere pubbliche, e quindi smantellando parte dei servizi fondamentali del welfare e del
presidio del territorio.

 Il risanamento del bilancio statale sbandierato per giustificare i “sacrifici” imposti non è mai avvenuto; lo Stato non si è mai adoperato per la lotta agli sprechi, alla corruzione, all’evasione fiscale. Il tutto è stato semplicemente trasferito interamente sulle spalle dei cittadini e dei lavoratori attraverso:

-Il blocco ventennale delle assunzioni, che ha contribuito alle politiche di privatizzazione, alla perdita di migliaia di posti di lavoro, con un consistente aumento dei carichi di lavoro. Secondo fonti pubbliche dal 2001 al 2023 gli occupati nella pubblica amministrazione sono passati da 3.659.916 a 3.099.694, con un taglio di 560.222 posti di lavoro a
tempo indeterminato, con una retribuzione media annua di euro 38.643, tra le più basse d’Europa, e l’età media intorno ai 50 anni. ***
-Sempre in nome della crisi economica del 2008 i governi hanno decretato, a partire dal 2009, il blocco dei rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici. Il mancato adeguamento delle retribuzioni per un decennio ha determinato una perdita salariale (tra il 2010 e il 2018, di almeno 8.000 euro) ed è continuato fino agli ultimi CCNL 2022/2024 con un’ulteriore perdita salariale media del 16%.
-Nessun serio provvedimento è stato varato per affrontare l’endemica piaga del precariato nella Pubblica Amministrazione. Alla tipologia contrattuale del tempo determinato si sono affiancate nuove figure surrettiziamente utilizzate per tappare i buchi di organico, sostituendo di fatto personale di ruolo a costo zero o quasi (LPU, LSU, Servizio Civile, alternanza scuola-lavoro, contratti con cooperative o somministrati, ecc.).

L’attacco al pubblico impiego ha prodotto specifici effetti sui servizi e sulle condizioni dei lavoratori nei vari comparti in cui si articola la macchina amministrativa dello Stato, peggiorandone l’erogazione di diritti e servizi.

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