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Il grande risucchio delle banche italiane

OPS: IL GRANDE RISUCCHIO DELLE BANCHE ITALIANE

6/11/2024. Banco BPM lancia un’opa su Anima, operatore del risparmio gestito, con il controllo di 150 miliardi di masse finanziarie. L’operazione comporta un esborso totale pari a 1,58 miliardi di euro e porterebbe il totale delle masse finanziarie del Gruppo a 390 miliardi di euro, di cui 220 miliardi in gestito. L’obiettivo è aumentare e diversificare i ricavi.
13/11/2024. Banco BPM annuncia di aver acquistato il 5% di Banca MPS, nell’ambito di un’operazione con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha ceduto un ulteriore 15% del Gruppo senese. Un altro 3% è stato comprato da Anima, mentre Caltagirone e il Gruppo Delvecchio hanno acquisito ciascuno una quota pari al 3,5%. Sembra che l’operazione sia stata organizzata per tagliare la strada all’Unipol nella possibile scalata al Monte dei Paschi e, nel contempo, favorire la creazione di un terzo polo bancario alle spalle di Intesa Sanpaolo e Unicredit.
25/11/2024. Unicredit lancia un’ops (offerta pubblica di scambio) sulla totalità delle azioni Banco BPM, con un esborso previsto superiore ai 10 miliardi di euro. L’operazione punta a creare il terzo gruppo bancario europeo, con oltre 100.000 dipendenti e 3.500 sportelli. Conquistando il Banco, Unicredit vedrebbe salire la quota di mercato nel Nord Italia dall’11% al 20%, mentre la quota nazionale in termini di volumi intermediati passerebbe dal 9% al 15% e quella dei depositi dal 9% al 14%. La proposta viene giudicata “ostile” dalla preda BPM.

Da tenere presente che l’attuale A.D di Unicredit, Andrea Orcel, ha fatto salire la capitalizzazione del Gruppo da 12.5 a 60 miliardi di euro, azzerando la distanza dal primo gruppo italiano (Intesa Sanpaolo): mentre 4 anni fa Unicredit valeva il 40% del concorrente, ora sono quasi alla pari. Inoltre, il 9 settembre scorso, Unicredit ha comprato dal governo tedesco una quota in Commerzbank, portando la sua partecipazione oltre il 9% e da allora è costantemente salito, attraverso i derivati, fino all’attuale 28% della banca tedesca, facendo innervosire il mondo politico e finanziario di Berlino, bloccato dalla sfida elettorale fino al 23 febbraio.

Anche in Italia l’operazione di Unicredit è finita nel tritacarne politico istituzionale, con il governo Meloni silente, ma i ministri leghisti Salvini e Giorgetti molto ostili ed attivamente impegnati a fermare la scalata, fino a minacciare l’utilizzo governativo del “golden power”.
Anche altri attori sono “scesi in campo”: ad esempio il 6 dicembre il Credit Agricole, che già possiede il 10% di Banco BPM, ne ha comprato un altro 5% ed ha chiesto autorizzazione a salire fino a sotto il 20%. Si tratterebbe non tanto di sventare la scalata del nemico, ma di tutelare i propri interessi “industriali”, visto che Credit Agricole usa la rete Banco BPM per distribuire crediti personali e polizze assicurative, ma anche la rete Unicredit per distribuire fondi e gestioni patrimoniali.
Se alcuni politici sparano a palle incatenate per motivi sedicenti “sovranisti”, altri attori fiancheggiano Unicredit nelle sue mire espansionistiche. Carlo Messina, ad esempio, A.D. di Intesa Sanpaolo, appoggia la scalata della concorrente, ricordando che è la esatta ripetizione di quanto ha fatto lui nel 2020: la prima banca italiana (ISP) aveva scalato la terza (UBI), in pieno Covid, nel plauso generale, con la lubrificante e gentile donazione di 100 milioni di euro allo Stato, per gestire l’emergenza sanitaria. Operazione chiusa in pochi mesi, con il seguito di svariate migliaia di esodi e la chiusura di 1.000 filiali.

Del resto, diventa piuttosto arduo sostenere, come fanno i leghisti, che Unicredit è una banca straniera, mentre Banco BPM è una banca italiana. Basta consultare il libro soci per verificare che le cose sono più complesse. I primi tre soci del Banco BPM sono, nell’ordine: Credit Agricole (15%), Blackrock (5%), Davide Leoni (5%) e un pulviscolare patto di consultazione, tra Fondazioni di varie Casse di Risparmio, Inarcasse ed Enpam, che a malapena raggiunge il 6,5% del capitale totale. Il resto è sul mercato e, per definizione, azionariato anonimo.
Per altro verso, il principale azionista di Unicredit è Blackrock, con il 7% del capitale. Capitale che è molto frammentato, essendo per il 75% in mano a investitori istituzionali, il 6% in mano a fondi sovrani e solo per il 4% detenuto dalle Fondazioni bancarie italiane. Il carattere internazionale del capitale di Unicredit è poi lo specchio fedele della sua anima: gli investitori istituzionali sono per il 42% Usa, 25% Regno Unito, 22% Europa e solo 8% Italia. Una banca in mano ai Fondi, in sostanza.

Diventa difficile quindi sostenere che cambierebbe qualcosa, se Banco BPM restasse autonoma e magari scalasse Banca MPS per fare un polo italiano. Un polo italiano pubblico avrebbe potuto nascere se lo Stato si fosse tenuto la banca che aveva salvato con 20 miliardi di euro di soldi pubblici: il credito è servito, in altre epoche, per indirizzare lo sviluppo economico con politiche d’investimento mirate agli interessi generali. Ma Banca MPS è stata risanata con soldi pubblici e poi restituita ai privati, perché ritorni a fare profitti a vantaggio di questi ultimi.
È la stessa logica che ha consentito alle banche di fare 90 miliardi di utili netti, negli ultimi 4 anni, senza neanche subire un leggero ritocco delle tasse sui profitti (non parliamo degli extra-profitti, che secondo loro non esistono!). È la stessa logica che, con buona probabilità, porterà l’operazione di Unicredit al successo, sia in Italia che in Germania, perché il capitale non ammette ostacoli e li travolge quando se li trova davanti.

In tutta questa storia c’è del ridicolo, naturalmente. Che non è solo l’atteggiamento patetico di Salvini & Co., che lamentano l’assalto estero, dopo aver privatizzato banche e aziende pubbliche come se non ci fosse un domani, hanno imposto alle banche popolari di quotarsi in borsa (e quindi diventare scalabili) e poi hanno obbligato le fondazioni a vendere quote di azioni detenute nelle banche, per ridurre al minimo il ruolo del pubblico.
Il ridicolo è anche nelle dichiarazioni dei principali esponenti dei sindacati di settore, che fanno a gara nel compiacere e assecondare i desiderata dei capi azienda bancari, guardandosi bene dal frapporre ostacoli alle operazioni in corso. Sileoni (Fabi) si contorce per servilismo nei suoi video urbi et orbi, sostenendo che abbiamo i migliori banchieri possibili, ma anche gli altri segretari generali sono inguardabili. Fioccano dichiarazioni di neutralità sull’operazione lanciata da Orcel, ma si raggiungono vette surreali, quando si auspica che la scalata ostile difenda il territorio, la rete, l’occupazione e la prassi contrattuale consolidata: quando tutti sanno che queste operazioni producono sovrapposizione, chiusure, soppressione di migliaia di posti di lavoro (6.000 ha sostenuto la dirigenza BPM), impoverimento del territorio e contrazione/concentrazione del settore. Come dimostra l’o.p.s. di Intesa Sanpaolo su UBI, all’aggressore interessa soltanto acquisire il portafoglio clienti dell’aggredito, liquidando tutto il resto.

Bisogna invece avere il coraggio di dire la verità, ammettere che non ci sono strumenti di difesa, che la controparte fa ciò che vuole e si tratta solo di quantificare, per via contrattuale, le risorse che andranno in esodo, a fusione avvenuta.
Questo almeno fino a quando non saremo in grado di proporre un quadro alternativo, sul modello produttivo e distributivo, sulla pianificazione relativa all’uso delle risorse finanziarie, sulle modalità di transizione verso un sistema radicalmente diverso, in grado di garantire la sopravvivenza e la riproduzione della vita, dell’ambiente, della persona. E non soltanto dei tassi di profitto…

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni
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f.i.p. 15.01.2025

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