Interviene Lidia Undiemi, esperta nelle tematiche del lavoro, dell’economia e della politica internazionale
Consulente tecnico in vertenze di lavoro in favore di dipendenti coinvolti in esternalizzazioni (outsouring), societarizzazioni e altri eventi inerenti strategie aziendali che modificano o mettono a rischio la stabilità occupazionale. Autrice di pubblicazioni scientifiche e libri divulgativi inerenti il tema del lavoro, dell’economia e della politica internazionale. L’ultima opera nel 2021 pubblicata è “La lotta di classe nel XXI secolo“, un’indagine a livello mondiale sullo sfruttamento del lavoro contemporaneo e sulla possibile reazione democratica.
Lavoratori italiani destinati alla fame, come reagire
Mentre il dibattito sul lavoro prosegue spedito su questioni spicciole, la realtà corre molto più velocemente verso un inesorabile stravolgimento della capacità dei lavoratori di produrre reddito, per sé e per la propria famiglia.
Sino a poco tempo fa abbiamo vissuto nel mito del lavoro dipendente “stabile” e in grado di garantire il benessere economico, senza troppe pretese.
Adesso siamo nella fase di stordimento, quella in cui tutti ci siamo bene o male resi conto che il lavoro dipendente sta gradualmente perdendo i suoi due attributi di “stabilità” e “benessere”.
Senza capire il perché è inutile discutere di quale sia l’alternativa.
Come l’autrice spiega in dettaglio nell’indagine compiuta nel libro “La lotta di classe nel XXI secolo”, i motivi sono sostanzialmente legati alla deriva del sistema capitalista globalista, che inevitabilmente conduce a conflitti tra super potenze, di cui oggi possiamo iniziare a cogliere le conseguenze con il pericoloso aumento del costo della vita dovuto alla guerra energetica.
La politica ha distrutto le norme a difesa del lavoro per soddisfare le esigenze di profitto del grande capitale
Non si tratta solo di tecnologia e sistemi organizzativi, il lavoro non è più quello di una volta anche perché la politica non ha fatto altro che distruggere le leggi a tutela del lavoro, che proprio in ragione della riproposizione del lavoro di fabbrica “virtuale”, avrebbero potuto continuare a svolgere un ruolo molto efficace contro le pretese del capitalismo globale.
L’attacco è avvenuto su due fronti: quello delle norme che sanciscono i diritti individuali dei lavoratori, quali a esempio le norme sui licenziamenti, e quello della contrattazione collettiva. Le parole d’ordine sono state, e sono ancora, competitività e produttività. Termini usati con una tale faciloneria (sempre nel libro ne spiego i paradossi), dietro cui si cela l’arbitrio del grande capitale nel potere ridurre a proprio piacimento il costo del lavoro, con sistemi di controllo prima nemmeno immaginabili. Ecco perché ho definito il capitalismo del XXI secolo come l’apoteosi del capitalismo dell’800. Marx, in fondo, ci aveva avvertiti.
“L’importanza del tempo di lavoro cresce tanto più l’organizzazione produttiva, grazie alla tecnologia, riesce a creare sistemi di gestione del lavoro standardizzati e controllati in tempo reale dalle macchine che trasmettono gli input al manager di turno preposto al controllo dei lavoratori, amplificando ciò che Marx sosteneva nel rapporto tra dipendenti e mezzi di produzione: «Non è più l’operaio che utilizza i mezzi di produzione; sono i mezzi di produzione che utilizzano l’operaio»”. (cit. La lotta di classe nel XXI secolo).
Reagire e non aspettare
Abbiamo vissuto decenni con il privilegio dell’attesa, dell’illusione del salvatore della Patria. Adesso bisogna reagire. La crisi del lavoro e è strettamente legata all’espandersi incontrollato del capitalismo globalizzato. L’unico modo per evitare il peggio è porre in essere azioni concrete di contrasto, prima sociale e poi politico.Il ritorno alla conflittualità è inevitabile.