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La fine del turn-over e i tagli alla PA

E’ tempo di scioperare nella PA

Il Governo risparmia sulle assunzioni nella PA, la Manovra di Bilancio parla di 392 milioni di euro dentro una minore spesa annua pari a 571,6 milioni a partire dal 2026. Per le nuove assunzioni sarà possibile spendere solo il 75% dei risparmi derivanti dai pensionamenti di questo anno

Tornano quindi i tetti al turn over anche laddove la carenza di personale è più drammatica. In questo modo si colpiscono non solo i lavoratori (aumento dei carichi di lavoro, mancate assunzioni in una Pa la cui età anagrafica diventa sempre più elevata) ma i cittadini (minori servizi e maggiori costi per rivolgersi al privato)

  • La sostituzione al 75% dei pensionamenti acuirà la carenza di personale e i carichi di lavoro, i tagli alla spesa corrente, al personale, alla formazione. E poi?
  • Dopo quasi tre anni dalla loro scadenza vogliono rinnovare i contratti con cifre pari a un terzo del costo della vita perduto. A mala pena si arriva al 6% inclusi i fondi del salario accessorio sul quale gravano innumerevoli istituti contrattuali. Per il triennio 2025-27 sono previsti ancor meno soldi.
  • Meno del 6% di aumento ma inflazione quasi al 17% quindi grande perdita salariale.
  • Per il 2025-27 l’aumento contrattuale sarà del 5,4%, intanto è lecito chiedersi se sia accettabile esigere risparmi di spesa da Regioni ed enti locali che dovranno finanziare i rinnovi contrattuali dei loro dipendenti con i bilanci già gravati dalla riduzione delle spese correnti.

Una manovra che aumenta di tre euro al mese le pensioni minime e lesina fondi ai servizi pubblici mortificando il nostro potere di acquisto e di contrattazione.
La legge di bilancio del governo Meloni non aumenta l’assegno previdenziale più basso se non di 3 miseri euro al mese quindi, anche considerando una bassa inflazione, magari meno dell’1%, questi assegni perderanno potere di acquisto.
Dagli scranni del Parlamento c’è già chi grida al complotto, alla diffusione di notizie menzognere per mettere in cattiva luce l’operato del Governo ma facendo due conti si capisce la perdita delle pensioni minime che non potranno contare per il 2025 sull’incremento “straordinario” del 2,7% valido nel 2024. Una volta realizzati i dovuti calcoli, le pensioni minime nel 2025 ammonteranno a 617,9 euro rispetto ai 614,77 attuali.

Dopo i salari da fame con aumenti contrattuali previsti pari a poco meno di un terzo dell’inflazione, arriveranno dunque anche assegni previdenziali miseri. L’adeguamento del 100% all’inflazione, prevista all’1% per il 2025, varrà per gli assegni con importo fino a 4 volte il trattamento minimo, per quelli tra 4 e 5 volte il minimo la rivalutazione sarà pari al 90% e scenderà al 75% per tutti gli altri con cifre superiori a questa soglia (e ricordiamoci che il riferimento và all’inflazione certificata che non corrisponde mai al reale aumento del costo della vita).



 

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