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Più 23 miliardi per le spese militari

23 miliardi in più di spese militari: il primo antipasto della Legge di Bilancio

(A cura di F. Giusti, sindacalista Cub e E. Gentili, sociologo) 

È da poco uscito il Documento programmatico di finanza pubblica del Governo Meloni da cui scaturirà la Legge di Bilancio, della quale, a breve, sarà reso pubblico il testo. Questo dovrà ricevere prima l’assenso di Bruxelles, per poi passare alla discussione nelle Commissioni parlamentari. L’iter si chiuderà con il voto e l’approvazione in Parlamento entro il Natale 2025.

Il testo è corposo e necessita di tempo per un’analisi puntuale. Da una prima lettura, comunque, sembra aver ragione parte della stampa (ad esempio Avvenire) a parlare di una manovra “leggera” per le famiglie ma “pesante” in termini di spese militari. Avevamo quindi ragione da vendere nel sostenere che il Governo non avrebbe ampliato il welfare e men che mai fornito indicazioni all’Aran e alle imprese per un aumento dei salari in linea con il costo della vita.
Non avremo una Finanziaria “lacrime e sangue” perché il movimento complessivo di risorse sarà di circa 16 miliardi, tuttavia non è detto che i numeri rimangano questi al momento dell’approvazione definitiva del testo in Parlamento. Quello che invece và evidenziato è l’aumento delle spese militari pluriennali: si parla di 23 miliardi nel prossimo triennio, a cui aggiungere altri capitoli di spesa afferenti a diversi ministeri ma sempre riconducibili all’impegno bellico.

Fatti due conti si evince che il Governo Italiano non aumenterà repentinamente le spese militari quanto altri Paesi ma le accrescerà progressivamente passando dagli attuali 45 miliardi di euro annui a oltre 61 nel 2028. Certo, dal Governo potrebbero raccontare di aver limitato fortemente le spese militari, avendole mantenute al di sotto delle richieste Usa e Nato, ma la sostanza non cambia. L’Osservatorio Milex (Osservatorio sulle spese militari italiane) parla di un esborso ulteriore pari a 23 miliardi nel triennio: “Circa 3,5 miliardi di euro nel 2026, oltre 7 miliardi nel 2027 e infine oltre 12 miliardi nel 2028”.
E colpisce il dinamismo della spesa militare in una Legge di bilancio con 6 miliardi di entrate e quasi 10 di “interventi sulla spesa” (un termine elegante per non parlare esplicitamente di “tagli”).

Il Governo ha un obiettivo: scendere sotto il 3% del deficit per porre fine alla procedura di infrazione decisa dalla Ue: A tale scopo è stata predisposta una Legge di Bilancio senza investimenti corposi e men che mai senza interventi orientati alla ripresa della domanda, che invece va stagnando. Fatto grave è che si parli di coprire i tagli ai Ministeri con un eventuale contributo delle Banche nella forma del prestito. Il Consiglio dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) nel frattempo ha approvato le linee guida del Documento Programmatico di Finanza Pubblica (DPFP) 2025. Attendiamo ulteriore documentazione ma dalle prime osservazioni (una nota di stampa) sembra di capire che le previsioni macroeconomiche siano quelle attese, non esaltanti e forse si riveleranno un po’ troppo ottimistiche data la dinamica degli investimenti, il contesto internazionale e i processi speculativi sulle materie prime.

L’UPB, dal canto proprio, analizza i rischi presenti e futuri: “I principali fattori di rischio sono individuabili in quattro ambiti: il protezionismo, le guerre e i piani di riarmo, fonti primarie di incertezza con effetti sull’economia di difficile quantificazione; la dinamica degli investimenti in costruzioni, dati i possibili effetti di concentrazione degli interventi finanziati dal programma NGEU nel prossimo anno, che potrebbero generare colli di bottiglia sul lato dell’offerta con conseguente freno alla crescita, cui si aggiungono attese incerte sugli investimenti residenziali; la volatilità dei mercati e le politiche monetarie, dove il fragile e instabile contesto internazionale rischia di ingenerare rapide reazioni avverse dei mercati finanziari, con effetti sull’economia italiana, caratterizzata da un elevato debito pubblico; il rischio climatico e ambientale, ormai fattore strutturale di vulnerabilità, poiché la crescente frequenza e intensità di eventi meteorologici estremi richiede risorse per la prevenzione e la gestione delle emergenze, con impatti sui prezzi e sulla capacità produttiva.

Le spese per il sociale: Di certo il Governo non aumenterà la spesa sanitaria: stiamo assistendo alla contrazione dei servizi sanitari erogati dal servizio pubblico, alla riduzione del numero di ospedali nell’ultimo decennio (circa il 15% in meno), del personale sanitario a tempo indeterminato (circa 45.000 unità), dei medici e degli infermieri (che ormai sono 6.5 ogni 1000 abitanti, rispetto agli 8.4 dell’UE). L’Italia non ha mai superato la spending review e le misure di austerità intraprese nel biennio 2011-2012, quando i dettami di Bruxelles puntavano alla riduzione del debito con contrazione dei servizi pubblici. Ma a forza di tagli quei settori sono oggi in grave sofferenza e a pagarne il fio sono i cittadini. Insomma, se Meloni era andata al potere promettendo di rivedere la Legge Fornero sulle pensioni e di accrescere la spesa pubblica almeno per istruzione e sanità ha fatto invece l’esatto contrario e la prossima Legge di Bilancio fotografa questa situazione, evidenziando che a crescere sono solo i tagli e la spesa militare.

Cosa pensa a Banca d’Italia dell’operato del Governo? L’audizione della Banca nelle commissioni parlamentari sul Documento programmatico di finanza pubblica 2025 

Le audizioni parlamentari sui documenti economici e programmatici offrono spunti di analisi e riflessione sui suggerimenti dei “poteri forti” all’iniziativa governativa, per questo è utile analizzare l’intervento in Commissione della Banca d’Italia pochissimi giorni dopo la presentazione del Documento programmatico di Finanza Pubblica da cui poi scaturirà la Legge di Bilancio (👉🏻 Audizione preliminare all’esame del Documento Programmatico di Finanza Pubblica 2025) che esprime critiche e perplessità al contesto economico e internazionale con appunti che riportano alla stringata valutazione dell’Unione Parlamentare di Bilancio (👉🏻  UPB_Audizione-DPFP-2025.pdf).


In sostanza Banca d’Italia delinea che “Il quadro dell’economia internazionale rimane segnato da molteplici fattori di instabilità, in primo luogo riconducibili all’inasprimento delle politiche commerciali e, più in generale, alle tensioni geopolitiche“, critica l’introduzione dei dazi e la minaccia costante di innalzare gli stessi come arma economica e politica contro Italia ed Europa. Non vengono lesinate critiche all’operato degli Usa come causa delle difficoltà congiunturali europee con una crescita del PIL a dir poco modesta. La Banca non lancia invettive contro il Governo limitandosi all’analisi (pur di parte) dei fattori economici, commerciali e per questo le sue valutazioni non potranno essere respinte come pregiudiziale politica ai danni della premier Meloni.

Dal Rapporto: In Italia, il PIL è lievemente diminuito nel secondo trimestre del 2025, in larga parte per la caduta delle vendite all’estero, che anche nel nostro paese erano state precedentemente sostenute dall’anticipo degli acquisti dagli Stati Uniti. L’elevata incertezza derivante dalle tensioni commerciali e geopolitiche ha indotto i consumatori a mantenere comportamenti di spesa prudenti, ma non ha impedito che gli investimenti continuassero a espandersi, favoriti dalla discesa del costo dei finanziamenti e dalle misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il mercato del lavoro ha mostrato segnali di raffreddamento, con un sostanziale ristagno del numero di occupati
e delle ore lavorate. Gli indicatori disponibili suggeriscono una lieve ripresa dell’attività nel terzo trimestre dell’anno, alimentata principalmente dal settore dei servizi.”

Crescita modesta, flessione della domanda esterna, un’una economia sorretta dal PNRR senza cui saremmo già in piena recessione, qualche segnale positivo dalla crescita delle entrate contributive con la pressione fiscale salita dello 0,3 per cento, conti in lieve miglioramento (decresce il debito per capirci) perché di fatto calano gli investimenti e le spese necessarie a sostenerli. Per capirci se si evita di spendere per tenere il debito sotto controllo alla fine vengono meno anche gli investimenti indispensabili per la crescita e l’innovazione, un equilibrio che potrà pagare al cospetto di Bruxelles ma alla lunga presenterà un conto salato.

Lasciando da parte la disamina in dettaglio delle voci di entrata e uscita e dell’incidenza del debito sul prodotto, riportiamo in sintesi le conclusioni del Rapporto citato:

  • I redditi da lavoro dei dipendenti pubblici sono in continua diminuzione e sarebbe sufficiente l’erosione del potere d’acquisto per contestare il programma economico del Governo Meloni.
  • Gli investimenti pubblici accompagnano la realizzazione del PNRR per poi, da qui a 5 anni, crollare miseramente. E nel frattempo i soli investimenti in crescita sono quelli del settore militare.
  • Nel prossimo triennio avviene una lieve flessione, ma pur sempre tale, delle entrate, conseguenza dei tagli alle tasse a beneficio delle imprese.
  • Non è dato sapere l’evoluzione delle entrate e della spesa primaria complessiva.
  • Le spese militari crescono e determinano l’aumento di tutta la spesa pubblica che in molte pagine del Documento è fonte di preoccupazione per il Governo. Trattasi di una scelta politica quella di potenziare il settore bellico e non il welfare rispetto alla quale siamo tenuti ad aprire una riflessione in tempi brevi.
  • Sul debito pubblico lasciamo parlare direttamente Banca d’Italia: “L’andamento del debito non è esente da rischi di breve periodo. Il DPFP stima ad esempio che, a parità di altre condizioni, nel caso di un aumento permanente e inatteso del rendimento dei titoli di Stato a 10 anni di 100 punti base a partire dal 2026, il rapporto tra il debito e il PIL, invece di scendere dal 2027, continuerebbe a crescere in ogni anno dell’orizzonte considerato (collocandosi nel 2028 poco sotto al 141 per cento).”
  • Il quadro internazionale, eventuali aumenti dei dazi e delle materie prime rendono la situazione incerta e problematica con immediate e pericolose ripercussioni sulla tenuta dei conti e sugli andamenti dell’economia, l’atteggiamento della Banca è assai più prudenziale del passato.
  • Non mancano i suggerimenti al Governo che suonano anche come critica per i mancati investimenti alle voci tecnologie e sviluppo. Citiamo testualmente: “Aumentando le risorse a favore di investimenti, ricerca e istruzione e contestualmente razionalizzando le spese fiscali, rimuovendo gli elementi del sistema tributario che scoraggiano la crescita dimensionale delle imprese, arginando l’erosione della base imponibile dell’Irpef.” 

In attesa della prossima Legge di Bilancio, il Documento programmatico indica la strada maestra per il Governo occupato tra politiche di crescita della spesa militare, investimenti legati solo al Pnrr, l’attesa dell’evolversi degli eventi internazionali evitando di attirare le critiche dei poteri economici e finanziari che contano. Una politica che riteniamo di piccolo respiro all’ombra di Trump e della Ue, altro che aumento della credibilità italica nel mondo, con sacrifici scaricati sulle classe popolari, diminuzione dei redditi per i lavoratori dipendenti e allargamento della forbice sociale. 

👉🏻 Ascolta il podcast in Yesterday’s Papers – Radio Grad, 16 ottobre 2025: “23 miliardi in più di spese militari: il primo antipasto della Legge di Bilancio.”

 
 
 
 

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