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Il Governo Meloni e la deindustrializzazione

Il governo Meloni con la sua politica economica sta praticando un processo di dismissione delle imprese strategiche italiane con una progressiva decomposizione della struttura industriale italiana, con la cessione da parte dello Stato di imprese essenziali alla salvaguardia della sovranità e dello sviluppo economico del Paese, con pesanti ricadute per la crescita e l’occupazione.

L’azione del governo è sostanzialmente finalizzata a fare cassa per esigenze di equilibrio dei conti pubblici – segue l’analisi di Cub Venezia – Di fatto questo governo non ha implementato alcuna strategia di sviluppo per l’economia italiana.

Dismissioni industriali recenti

1) ILVA seconda acciaieria europea per dimensioni produttive che, dopo l’arresto di Emilio Riva e il susseguente commissariamento statale, fu ceduta nel 2017 all’indiana ARCELOR MITTAL a cui subentrò nel 2021 l’agenzia governativa INVITALIA e fu rinominata “Acciaierie d’Italia S.p.a”. Ma il governo non ha programmato piani di ristrutturazione dell’ex ILVA, puntando su una nuova cessione. L’offerta del fondo americano BEDROCK INDUSTRIES, prevede tagli occupazionali per 7.000 unità, con l’onere per lo Stato di corrispondere finanziamenti per 700 milioni per la de-carbonizzazione. L’annunciata cessione dell’ex ILVA inoltre comporterebbe un grave danno rendendo l’Italia dipendente da fornitori esteri.

2) Nel luglio 2024 Tim ha ceduto il ramo della rete fissa ad un consorzio guidato dal fondo americano KKR. La vendita ha comportato una riduzione dei dipendenti della Tim da 37.000 a 17.300. La Tim inoltre dovrà corrispondere a KKR un canone annuo per l’affitto della rete. L’operazione Tim – KKR è particolarmente rilevante per il nostro Paese dato che il possesso da parte dello Stato della rete fissa assume una essenziale importanza sia strategica che economica nei rapporti tra l’Italia e i paesi del Medi-oceano. Lo Stato, che detiene comunque una quota di minoranza, percepirà gli utili di gestione, ma le strategie imprenditoriali saranno decise da KKR, con indirizzi di carattere finanziario, finalizzati cioè alla distribuzione di dividendi e alla speculazione in borsa, non certo ad effettuare investimenti e allo sviluppo occupazionale in Italia.
Nel 2022 è stata approvata la privatizzazione della compagnia. Si è poi proceduto nel gennaio
2025 alla cessione delle sue quote per il 41% a Lufthansa. Sebbene Meloni avesse spergiurato che la maggioranza delle quote sarebbe restata italiana, è stato concluso un accordo che prevede la cessione integrale di ITA a Lufthansa nei prossimi due anni. Inoltre è prossima la scadenza della c.i.g. per 2.000 lavoratori ex Alitalia non riassorbiti da ITA ed il governo non ha predisposto, allo stato attuale, alcun piano di ricollocamento.

3) Il marchio IP (Italiana Petroli), del gruppo API, nato nel 1974, integrato nel gruppo ENI, procedette alla acquisizione della Shell Italia e nel 2017 acquisì anche la rete italiana della Total Erg. E attualmente è posseduto dalla famiglia Brachetti Peretti, ed è prossimo ad essere ceduto al gruppo azero Socar per 3 miliardi. L’operazione potrebbe essere bloccata, qualora il governo opponesse il suo veto con l’esercizio del golden – share, ma non sembra orientato in tal senso. Il governo poi sembra intenzionato ad acquisire nuove forniture energetiche dall’Azerbaigian. Le devastanti conseguenze della scelta politica filo – Nato dell’Italia hanno fatto venir meno le forniture energetiche russe.

4) La vicenda MPS, poi, è esplicativa dello scarso senso dello Stato che pervade le politiche governative italiane. MPS, in dissesto nel 2010 a causa della cattiva gestione e di speculazioni finanziarie rivelatesi fallimentari nel 2017 fu nazionalizzato e risanato mediante l’erogazione di fondi pubblici per 5,4 miliardi.
A seguito della ristrutturazione
pubblica, MPS è tornato in attivo dal 2023 in poi. Ma il governo sta perseguendo una politica di privatizzazione della banca (sulla base delle direttive UE), cedendo progressivamente le sue quote di partecipazione, che si sono ridotte dal 62,5% iniziale all’attuale 11,7%. La recente fusione MPS – Mediobanca, si è rivelata una gigantesca manovra speculativa con cui Delfin (famiglia Del Vecchio), ha guadagnato 850 milioni, il gruppo Caltagirone 430 milioni e il fondo americano BlackRock 172 milioni. Si aggiunge poi il fatto che Delfin e il gruppo Caltagirone hanno rispettivamente sede a Gibilterra e Lussemburgo, paesi a fiscalità agevolata. Assume poi un particolare rilievo la presenza di un socio come la BlackRock, che assumerà un ruolo determinante nelle future politiche bancarie, che saranno improntate in misura rilevante alla speculazione finanziaria. Si sarebbe potuto preservare il controllo statale su MPS mediante il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti ma si sono ben guardati dal farlo. MPS poteva diventare un grande gruppo bancario sotto il controllo pubblico, essenziale per la tutela del risparmio e l’erogazione del credito ad imprese e cittadini, occasione mancata.

5) La politica industriale di Stellantis è in totale continuità con quella della Fiat: privatizzazione degli utili e nazionalizzazione delle perdite. Stellantis è da anni intenzionata a dismettere la produzione in Italia. Negli ultimi anni, nonostante le sue fallimentari scelte imprenditoriali (vedi auto elettrica), ha distribuito dividendi, ottenuti mediante la delocalizzazione produttiva con relativa compressione salariale, acquisizione di contributi pubblici e usufruendo delle minime aliquote di tassazione nei paradisi fiscali. La produzione e l’occupazione in Italia rischia di essere compromessa a seguito della creazione di un polo industriale a Saragozza, il tutto realizzato con i fondi europei in collaborazione con la cinese CATL per la produzione di batterie elettriche, con l’impiego di personale cinese.

Stellantis, dopo che Exor ha ceduto la sua partecipazione in Iveco all’indiana Tata Motors (divisione veicoli commerciali) e a Leonardo (divisionedifesa, in partnership con la tedesca Rheinmetall), è in procinto di vendere la VM a Marval (posseduta dal fondo private equity Azzurra Capital).
Quindi sono a rischio oltre 10.000 posti di lavoro. Il governo inoltre prevede di riconvertire l’automotive in produzione bellica, mediante l’erogazione di contributi pubblici a Stellantis, che non ha sede in Italia e paga imposte assai ridotte in Olanda.

6) EniEnel. Infine, si osserva, che il governo ha proceduto anche alla cessione di parte delle sue quote in Eni ed Enel, nel contesto di una politica di privatizzazione delle partecipazioni statali finalizzata solo a far cassa.


E’ in corso un processo di deindustrializzazione dell’Italia, che rischia di divenire un Paese condannato al sottosviluppo.
A fronte dell’arrendevolezza dimostrata nelle dismissioni degli asset strategici dell’economia italiana, il governo Meloni pretende tuttavia di assumere un ruolo rilevante nel contesto internazionale con la partecipazione italiana ai progetti di ricostruzione dell’Ucraina, che nell’attuale perdurare dello stato di guerra, si dimostrano del tutto irrealizzabili. Nel 2024 il governo ha concluso un accordo con Israele per lo sfruttamento dei giacimenti situati nelle acque palestinesi tuttora occupate dallo stato ebraico ed è totalmente silente sul fatto che Netanyahu abbia coinvolto l’ex premier inglese Tony Blair come consulente globale proposto da Trump e si è infine proposto di inserire l’Italia nella ricostruzione di Gaza, nel contesto di un progetto di spregevole speculazione immobiliare del Tony Blair Institute.

Dinanzi a questa politica di sistematica dismissione degli asset strategici sia pubblici che privati dell’industria italiana, messa in atto da un governo, l’opposizione di sinistra brilla di fatto per una assenza di credibile opposizione. Quindi si sta giungendo alle estreme conseguenze di una progressiva dissoluzione della sovranità nazionale iniziata con la liquidazione – svendita del patrimonio dell’IRI patrocinato dalla sinistra e messo in atto dal duo Prodi – Draghi.

E’ evidente la continuità delle politiche economiche susseguitesi in Italia da 30 anni, al di là del colore politico dei governi, sia di centrodestra che di centrosinistra, con politiche del tutto subalterne ai progetti di riforma della UE prefigurati da Draghi, che comportano la finanziarizzazione dell’economia e la privatizzazione dello Stato.

Politica estera

Anche nella politica estera non si è mai registrata alcuna rilevante contrapposizione sulle fondamentali scelte filo atlantiche ed europeiste del governo Meloni. Le uniche differenze consistono nella più accentuata russofobia della sinistra e nel più marcato filo – sionismo della destra. Ma è evidente che entrambi gli schieramenti, sia russofobi e filo – sionisti, sono atlantisti con un atlantismo declinato dalla destra nella versione filo – trumpiana e dalla sinistra in quella filo – neocon dei democratici americani.

Tutto ciò si è manifestato chiaramente nel voto sul progetto di pace – capestro per i palestinesi presentato congiuntamente da Trump e Netanyahu.
Al voto favorevole del centro destra, ha fatto riscontro l’ipocrita astensione della sinistra. Nessun parlamentare italiano ha espresso un voto contrario.

Lavoro, salari, welfare

La CGIL si è omologata alla svolta neoliberista del PD. Dopo 2 anni di silenzio sul genocidio di Gaza, strumentalizzando la protesta popolare, pensa di auto assolversi dalle sue responsabilità inerenti la devastazione dello stato sociale messa in atto dai governi (specie di sinistra) sin dal sorgere della seconda Repubblica e fino a oggi.
I salari sono fermi da 30 anni e, dinanzi all’impoverimento generalizzato del popolo italiano, la dissoluzione del ceto medio e le diseguaglianze crescenti, il sindacato nei fatti si è mostrato acquiescente alle politiche neoliberiste dei vari governi che si sono succeduti.
Le riforme che hanno via via distrutto lo stato sociale (specie nella sanità e nella
previdenza), e fatto strage dei diritti sindacali dei lavoratori, approvate dai governi Prodi, Monti, Renzi, Draghi (comunque sostenuti dal PD), quali la legge Biagi, il pacchetto Treu, la riforma Dini, la legge Fornero, il Job Act, hanno prodotto, di fatto, una protesta sindacale di facciata.
Di fatto è stato promosso un referendum su punti marginali del Job
Act (made in PD), in opposizione al governo Meloni.
Ma si dimentica che il Job Act fu approvato con l’acquiescenza sindacale abrogando sacrosanti diritti e tutele del lavoro sanciti dallo Statuto dei Lavoratori?
E’ poi del tutto evidente la politica assai moderata adottata nei confronti di Stellantis (dato che Elkann è l’editore di Repubblica?)

Quale strategia di contrasto sindacale propone il sindacato confederale a fronte della deindustrializzazione in atto e della politica di riarmo, da cui scaturiranno il dilagare della disoccupazione e nuovi tagli devastanti al welfare?

Con la protesta per il genocidio di Gaza (sicuramente sacrosanta) non si può mitigare il ruolo trentennale di supporto sociale al sistema neoliberista imposto dalla UE e al consenso dei governi italiani. Con la riproposizione della logica stantia degli opposti estremismi, si vuole innescare una contrapposizione tra fans della sinistra contro il “nemico assoluto” di turno Salvini / Meloni e i fans della destra che invocano ordine e sicurezza contro la “rivolta sociale” e contro virtuali pericoli di invasione islamica.

La protesta pro – Pal della CGIL sembra avere una funzione ben precisa: assorbire il dissenso onde coinvolgerlo nella logica del sistema dominante, al fine di scongiurare la nascita di movimenti anti – sistema, che, sulla base della protesta per Gaza, inneschino conflitti sociali di più vasta portata, che abbiano come obiettivo la UE, l’uscita dalla NATO e il sistema neoliberista occidentale nel suo complesso.

I risultati elettorali recenti nelle varie Regioni stanno a testimoniare che la mobilitazione contro quanto sta accadendo in Palestina non ha riscontro visto l’alta astensione al voto.

Quindi o si sviluppano iniziative concrete in difesa delle condizioni di vita, di lavoro, del potere reale dei salari (il referendum per 9 euro di salario minimo sembra ignorare che questi 9 euro sono comunque lordi…) sull’abolizione o quanto meno drastica riduzione delle varie accise a cominciare da quelle del gasolio e della benzina e sulla difesa del diritto di sciopero e di manifestare sempre più compressi e limitati.

VENEZIA 8/10/2025

CUB VENEZIA, via Carrer 224 – 30173 Mestre (VE)

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