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L’economia di guerra danneggerà anche la cultura

Da oltre un trentennio vengono sottratte risorse ai beni culturali, precarizzando il lavoro con abusi di appalti, subappalti, aziende in house del Ministero, lavoro interinale, partite ive coatte, volontariato sostitutivo, tutto per operare un autentico sradicamento del sistema pubblico in ampio culturale.

In attesa dell’iter della Legge di Bilancio, che dovrà essere approvata definitivamente entro fine anno, il fondato timore è che sarà in tendenza rispetto agli ultimi lustri. Anzi in tempi di economia di guerra il settore culturale corre il rischio di essere la prima vittima sacrificale. Tagli destinati a recuperare risorse per riconvertire aziende civili in produzioni militari. In tempi di guerra poi investire in cultura diventa pericoloso, perché l’ambito culturale per eccellenza è anche il settore in cui il rifiuto dei processi di militarizzazione avviene con particolare forza.

Il Ministero della Cultura cerca invece di sottomettere musei pubblici a processi di militarizzazioni, utilizzandoli come spazi per eventi totalmente slegati dalla loro funzione. Ricordiamo il caso della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma che nelle giornate del 14 e 15 ottobre ha ospitato gli incontri del Processo di Aqaba (foro di discussione informale avviato nel 2015 e presieduto dal Re Abdullah II di Giordania, con l’intento «di rafforzare il coordinamento internazionale e lo scambio di competenze» per la lotta al terrorismo (così sul sito del governo) un forum militare per il quale il museo è stato chiuso al pubblico. Stessa sorte per Palazzo Reale di Napoli che dal 14 al 17 ottobre ha chiuso per ospitare il “Med5-Dialoghi del Mediterraneo”, organizzato del Ministero degli Esteri, della Cooperazione Internazionale e dall’ISPI. Sempre a Napoli, l’ex premier israeliano Ehud Olmert, che autorizzò la drammatica operazione “Piombo Fuso” sulla striscia di Gaza, ha presenziato al museo Reale di Capodimonte per il festival “Falafel e Democrazia”.

Queste azioni di militarizzare degli spazi culturali, a discapito della cultura stessa e di chi vi opera, non nascono oggi, è qualcosa d’imbastito già nel 2023, quando l’allora ministro Sangiuliano volle far rientrare il 4 novembre, Giorno dell’Unità nazionale e Giornata delle Forze Armate, tra le giornate ad accesso gratuito, insieme al 25 aprile e al 2 giugno, “in occasione di ricorrenze dall’alto significato storico” come recita il sito del ministero, sebbene non si tratti di una festa nazionale.

Proseguire nel solco dell’economia di guerra impoverirà ancora di più tutti quei lavoratori e quelle lavoratrici che con grande fatica, attraverso lotte sindacali osteggiate da leggi ad hoc, hanno potuto presentare le proprie istanze di miglioramento normativo, contrattuale e stipendiale davanti a bandi di appalti e subappalti al ribasso, che non offrono condizioni dignitose per la forza lavoro.

Come CUB siamo consapevoli che anche la cultura rischia di essere strumentalizzata, svilita ma soprattutto impoverita per renderla funzionale al militarismo e avallare processi di guerra. Il nostro impegno è quello di rilanciare la mobilitazione a fianco del popolo palestinese e contro l’economia di guerra che temiamo sacrificherà al suo cospetto le figure precarie del mondo culturale.

Novembre 2025, Cub musei Pisa aderenti alla Flaica 

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