La tornata di assemblee in corso sulla piattaforma di rinnovo del CCNL rappresenta un’occasione importante per riprendere a partecipare alle iniziative sindacali.
E’ importante altresì mettere alcuni punti fermi, a presidio della tenuta della piattaforma e delle richieste che contiene. La piattaforma è ambiziosa, ma il processo di arretramento, durato anni, richiede ora un salto di qualità nel recupero di quanto è stato perso nei rinnovi precedenti.
Il primo punto è quindi di metodo e di contenuto: si deve trattare sulla piattaforma sindacale, non sulle richieste (eventuali) della controparte. Non è il momento di concedere altro alle banche: siamo noi a pretendere la restituzione dei diritti perduti.
Il secondo punto è quello che della rivendicazione economica. Il rialzo del tasso d’inflazione ha ridotto duramente il potere d’acquisto. Non sono certo sufficienti le mancette “una tantum” erogate contro il carovita nel 2022: sono state poche e disomogenee (dai 200 euro di Banca Sella ai 1.000 euro di Intesa Sanpaolo) e soprattutto non ripetibili.
Sulla richiesta di aumento economico di 435 euro c’è largo consenso. Occorre però fare i conti bene, perché la piattaforma colloca il recupero nel triennio 2023-2025, a fronte dei tassi d’inflazione attesi. In realtà nel 2022 c’è stata un’impennata dell’inflazione che non è stata recuperata. Qui si apre la giostra degli indici usati per misurare il rialzo dei prezzi, ad esempio i dati Istat (dicembre 2022 su dicembre 2021) riportano questi numeri : NIC (+11,6%) – FOI (+11,3%) – IPCA (12,3%).
Il sistema contrattuale in atto prevede però che venga preso a riferimento l’indice IPCA depurato del rialzo dei prezzi dei beni energetici: nel 2022 questo indice si è fermato al 4,7%. Usarlo come parametro per rinnovare i contratti significa perdere 7/8 punti percentuali all’anno sul tasso d’inflazione effettivo.
Se l’inflazione non frena, dunque, occorre tenerne conto e la richiesta deve trovare soddisfazione piena, con corresponsione puntuale e non dilatata nel tempo. Insieme ovviamente a tutto l’insieme delle altre rivendicazioni economiche: la rivalutazione di tutte le indennità, l’introduzione di uno scatto d’anzianità aggiuntivo, il ticket pasto a 8 euro e soprattutto il ripristino del perimetro pieno su cui calcolare il TFR.
Il terzo punto rilevante è la riduzione d’orario a 35 ore settimanali. E’ una rivendicazione storica e strategica: gli orari di lavoro sono fermi a 50 anni fa. Si tratta di riprendere un tema vecchio con spirito nuovo, anche perché la crescita (enorme) della produttività di questi anni è andata tutta a vantaggio del capitale. Nel 2019 la richiesta di riduzione era di mezz’ora la settimana: decadde al primo incontro con la controparte. Ora bisogna agire: il tempo di lavoro va ridotto, a parità di salario, senza contropartite. Dobbiamo usare questa
richiesta per migliorare la qualità della vita, rivedere i tempi delle città e della società, espandere l’occupazione, redistribuendo il lavoro necessario. E dobbiamo evitare che tutto si traduca in aumenti dei carichi di lavoro: va contrattato invece un piano assunzioni adeguato e contestuale alla riduzione d’orario.
Al quarto posto nella nostra scala delle preferenze c’è il contrasto alle pressioni. La qualità della vita e il diritto alla salute si tutelano anche migliorando il clima aziendale: per farlo è necessario smantellare il sistema delle pressioni commerciali, che ha raggiunto livelli insostenibili. Devono esserci procedure certe ed esigibili per ridimensionare non solo gli eccessi dei responsabili inadeguati, ma anche attaccare alla base un sistema strutturalmente deviato, che punta tutto sui risultati di breve periodo, senza tenere conto del
contesto del mercato, né delle reali esigenze della clientela.
Va in questa direzione anche il ridimensionamento dei sistemi incentivanti, che sono fortemente legati alle politiche commerciali aggressive, irrispettose sia verso la clientela, che verso la dignità e la professionalità dei colleghi (non parliamo poi del carattere etico e deontologico dell’offerta aziendale e delle modalità di proposta). Sistemi incentivanti che
spesso presentano aspetti di scarsa trasparenza, difficile comprensione, con strutture farraginose e ingestibili.
C’è poi il capitolo della regolamentazione del lavoro agile, dopo la pandemia. La situazione in Intesa Sanpaolo, dove non era stato siglato alcun accordo, è rientrata recentemente. Tuttavia restano, anche qui, tanti buchi vuoti ancora da riempire: sarà necessario estendere a tutto il settore le poche acquisizioni ottenute, ma anche andare molto oltre. Ad esempio ottenere un ticket pasto completo, il rimborso pieno dei costi energetici e di connessione sostenuti al domicilio dal lavoratore, il rispetto delle norme di sicurezza della postazione a cura aziendale, l’accesso effettivo ai diritti sindacali.
Dobbiamo impegnarci tutti a fondo nella partecipazione alle assemblee e nelle iniziative che ci dovranno impegnare per sostenere la piattaforma e premere sulla controparte. Non sarà presumibilmente un percorso breve e occorre pretendere dalle sigle che trattano una informativa puntuale e completa sullo svolgimento degli incontri.
Tenendo conto dello straordinario livello di inflazione in corso, non sarebbe sbagliato a nostro avviso richiedere l’erogazione di un anticipo economico adeguato, per recuperare la forte perdita di potere d’acquisto registrata nel 2022 e in questa prima parte del 2023. Tutto ciò senza minare la tenuta della piattaforma, nel suo impianto unitario, per tenere conto sia della richiesta economica globale (nelle sue varie declinazioni), sia della parte normativa nel suo complesso.
Proviamo a dimostrare CON I FATTI che QUESTA VOLTA E’ DIVERSO.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni