Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

Crisi industriale Stellantis

CONTRIBUTO DELLA FLMU-CUB PER UNA SOLUZIONE ALLA CRISI INDUSTRIALE STELLANTIS

Le fabbriche sono di chi ci lavora, degli operai, delle famiglie degli operai costrette ai sacrifici derivanti dai bassissimi salari, dei cittadini del territorio che ne subiscono l’invasività, dei contribuenti che con le loro tasse hanno sostenuto l’economia privata, e non di coloro che decidono di chiuderle. Quando un industriale decide di chiudere una fabbrica, questa deve tornare alla collettività, a costo di occuparla a oltranza, e non oggetto di volgare speculazione immobiliare e politica.

A fronte del continuo stillicidio della chiusura delle fabbriche in tutta Italia e della perdita di importanti commesse del settore della manifattura e dei posti di lavoro, non è più sufficiente l’azione politico-sindacale tesa a “convincere” gli industriali a non delocalizzare gli impianti. Continuare a “pregare” gli industriali per farci continuare a lavorare è particolarmente frustrante, oltre che decisamente poco dignitoso. Ciò che serve, invece, è una proposta che tenga conto del rilancio del lavoro e dell’occupazione nel nostro Paese e che riconosca la centralità del protagonismo operaio e del diritto al lavoro.

La riconversione degli stabilimenti industriali, in luogo delle mere speculazioni immobiliari delle fabbriche chiuse, è un qualcosa che riguarda gli operai e le piccolissime società dell’indotto, e non può essere lasciata in mano agli speculatori e agli approfittatori. Per intendersi, riconvertire una fabbrica non vuol dire chiedere a un altro industriale di continuare a sfruttarci, ma di ripensare alla manifattura come occasione per una nuova economia popolare del nostro Paese.

Se in Italia esistesse un governo minimamente responsabile, si potrebbe ripartire da una politica nazionale di riconversione industriale che parta proprio dall’esperienza dell’IRI, ovvero da un ente di diritto pubblico che assorba tutte le società che decidono di delocalizzare la manifattura altrove. Un ente, tra l’altro, che prima dell’arrivo del progressista Prodi, aveva sotto il proprio controllo (pubblico) oltre 1.000 società con più di 500.000 dipendenti, ed è stata a suo tempo una delle più grandi aziende non petrolifere al di fuori degli Stati Uniti d’America, tanto che nel 1992 chiudeva l’anno con 75.912 miliardi di lire e nel 1993 l’IRI era il settimo conglomerato al mondo per dimensioni, con un fatturato di circa 67 miliardi di dollari.[cit.]

Dal dopoguerra al 1992, l’IRI ha consentito alla nostra nazione di diventare una leader dell’industria e, loro malgrado, una potenza dell’industria pubblica, cosa che oggi sarebbe impensabile anche solo da proporre. Grazie all’industria pubblica, prima delle privatizzazioni, in Italia abbiamo avuto società come Autostrade per l’Italia, Finsider, ILVA, Finmeccanica, Alfa Romeo, Fincantieri, Italstat, STET, Finmare, Alitalia, SME, RAI e altre, solo per citarne alcune.

Fermo restando che una proposta di industria pubblica verrebbe trattata con sufficienza sia dalla destra che dalla finta sinistra, resta in piedi la proposta dei lavoratori dell’ex GKN sui distretti industriali pubblici, ovvero situazioni che partono dal basso, e che potrebbero contare sull’apporto degli enti pubblici locali, delle università, delle banche etiche e delle comunità locali.

Il carattere pubblico dell’impresa e il controllo diretto degli operai devono essere alla base della riconversione degli stabilimenti Stellantis in Italia; il carattere socialmente integrato farà sì che l’impresa non sarà vista in modo invasivo dal territorio, ma che, appunto, si integrerà, divenendo un tutt’uno con il tessuto economico e con l’indotto. In tal senso la grande mole di lavoro giuridico degli operai dell’ex GKN e le preziose esperienze della “Rete delle fabbriche recuperate” possono rappresentare un importante punto di partenza per elaborare un sistema di fabbriche di pubblica utilità concepite dal basso, dai territori, dagli operai e dalle economie comprensoriali. 

Dobbiamo lottare per le fabbriche di pubblica utilità e a ricollocare i lavoratori attualmente addetti. Fabbriche di pubblica utilità, sotto il controllo pubblico e operaio, che riconvertano non solo le produzione, ma anche il paradigma delle produzione. Prima, però, sarà necessario riconvertire la mentalità degli operai, ormai corrotta dopo anni di continua esposizione al pensiero unico dominante, quello per il quale l’operaio ha bisogno di padroni e che sarebbero questi ultimi a produrre la ricchezza del Paese.

Cassino, 03/09/2025 

Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti – Confederazione Unitaria di Base

CUB © 2022. Tutti i diritti riservati.