Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

DOPO L’URAGANO: INTESA SANPAOLO BALLA DA SOLA

Sembra un fulmine a ciel sereno, ma con il senno del poi non è poi così sorprendente scoprire che Intesa Sanpaolo vuole ballare da sola. 

Con una lettera all’ABI del 27 febbraio scorso, la prima banca italiana, che con i suoi 75.000  dipendenti italiani impiega oltre un quarto dei bancari italiani, ha comunicato la revoca all’ABI per le trattative sindacali, ritirando la fiducia a quel Comitato per gli Affari Sindacali e del  Lavoro, che a metà dicembre aveva visto la rotazione delle cariche tra l’uscente Salvatore Poloni e la subentrante Ilaria Dalla Riva (Unicredit, già ex-Mps). 

E’ un momento cruciale, perché si apre il rinnovo del CCNL scaduto a fine 2022, prorogato  prima al 28.02.2023 ed ora alla nuova data del 30.04.2023. Nel frattempo i sindacati non  sono ancora riusciti neanche ad abbozzare una piattaforma da portare in assemblea,  nonostante il modello contrattuale da loro stessi firmato preveda la presentazione alle  controparti addirittura sei mesi prima della scadenza. 

La rottura di Intesa Sanpaolo è la botta finale, dopo una serie di passaggi che hanno visto  l’azienda sempre in avanscoperta e battitrice libera sul terreno di caccia degli sfondamenti  contrattuali. Basti richiamare gli episodi più noti ed eclatanti. 

Il responsabile del personale di Intesa sin dai tempi di Passera, Francesco Micheli, aveva  guidato il rinnovo del CCNL nel 2012, nella veste (a sua volta) di presidente del CASL. Era  stato il peggior contratto della storia e ABI aveva portato a casa, tra tante altre cose, persino  la possibilità di aprire gli sportelli H12, dalle 8 alle 20, con aggiunta del sabato mattina.  

Nessuna banca aveva interesse a simili alzate d’ingegno, tanto è vero che nessuna azienda  seguì Intesa Sanpaolo quando, un anno dopo, decise di applicare il nuovo modello degli  orari, costringendo i lavoratori della rete su tre turni, con tripli salti mortali per garantire il  servizio.  

Esperimento commercialmente fallito e abbandonato in breve tempo, con definitiva liquidazione all’irrompere del COVID. Ma nessuna autocritica è mai stata pronunciata… 

Nel 2015 la banca ha deciso di varare un nuovo sistema di inquadramenti e percorsi professionali, che spazzava via il meccanismo precedente. Il nuovo sistema collegava i livelli alla complessità dei portafogli e delle filiali, consentendo un generale sotto-inquadramento del personale, con la sostanziale abolizione degli avanzamenti di grado, enormi risparmi per  l’azienda e la minaccia di tornare indietro se non scattava in tempo il consolidamento.

Nel 2017 Intesa Sanpaolo ha introdotto il contratto ibrido, un obbrobrio che consente di  conciliare nella stessa figura professionale il lavoro subordinato ed il lavoro autonomo, una  sorta di salario d’ingresso molto ridotto che però prevedeva, dopo due anni, il passaggio a  tempo pieno. Ora la banca disdetta quel contratto per eliminare questa clausola. Nessuna  altra banca si è avventurata su questo sentiero. 
Dopo la fine della pandemia, la banca ha deciso di consolidare quello che provvisoriamente  aveva sperimentato durante l’emergenza: ampio ricorso al lavoro agile, con in più la  possibilità di accedere al 4×9, una distribuzione dell’orario già prevista dal CCNL, ma mai  applicata. Ovviamente solo nelle sedi e nei Servizi Centrali, perché in rete tutto è precluso.

Contando sul prevedibile consenso dei lavoratori interessati e sulla tradizionale passività  dei sindacati, l’azienda ha pensato bene di fare da sé, diramando istruzioni e normative  senza alcun accordo collettivo. Si passa direttamente all’accordo individuale. 

Ora siamo ai titoli di coda. La banca punta a cucirsi un vestito nuovo su misura: in questa  fase “affiancherà” il CASL dell’ABI nella trattativa per il contratto, ma se il risultato finale non  è di proprio gradimento, si riserva di non firmarlo e trattarne uno “in casa” adatto alle sue  pretese. 

Dobbiamo usare il giro d’assemblee in corso per tirare fuori tutta l’esasperazione che in  questi anni si è accumulata contro la gestione unilaterale da parte dell’azienda, contro la  sua arroganza e la sua supponenza. 

Bisogna anche ritirare la delega a queste OO.SS. che negli anni hanno firmato di tutto,  portandoci a questa situazione di sbandamento, di arretramento, di debolezza. 

Mentre serve un’azione decisa per riprendere forza contrattuale e potere d’acquisto, a fronte  di un’inflazione che morde ogni giorno di più, i sindacati firmatari non riescono neanche a  stilare una piattaforma. Anziché parlare di rivendicazioni e diritti per tutti, pensano solo ai  “propri diritti”, in termini di agibilità e permessi per i loro quadri dirigenti.  

Dimostriamogli che sbagliano a trattarci come pedine, riprendiamoci la voce, riprendiamoci quello che abbiamo perduto! “

 

CUB © 2022. Tutti i diritti riservati.