Manovra economica del governo Meloni: quando gli annunci vengono smentiti dalle regole economiche e aumentando, pur di poco, il reddito cresce anche il prelievo fiscale
La posizione della Cub e dei sindacati di base è diametralmente opposta a quella dei sindacati rappresentativi: non siamo contrari ad accrescere le aliquote fiscali stabilendo equità e progressività nel sistema fiscale, siamo del resto convinti che gli aiuti alle imprese non siano fino ad oggi servite per accrescere gli occupati (senza contratti a tempo e precari), per aumentare i salari, per investire in formazione e sviluppo.
Se lo Stato si sostituisce alle aziende utilizzando la leva fiscale per portare qualche beneficio alle buste paga, il cui potere di acquisto è peraltro in perenne erosione, alla lunga mancheranno i soldi per il welfare.
Tutto chiaro ma fino a un certo punto, visto che i sindacati chiederanno al Governo di aumentare la detassazione delle tredicesime e del salario accessorio in cambio, magari, di deroghe ai contratti nazionali accrescendo la produttività.
C’è da augurarsi che almeno la Cgil decida di non seguire gli altri sindacati firmatari di contratto rompendo la gabbia della concertazione, è un auspicio forse infantile ma partiamo dal presupposto che la realtà, se analizzata e letta con obiettività, potrebbe indurre a cambi di prospettiva.
Su alcuni giornali abbiamo letto che le entrate in busta paga saranno superate dalle uscite perché aumentando, pur di poco lo ripetiamo, lo stipendio, cresceranno anche le tasse.
Di per sè il principio è giusto ma non si capisce la ragione per la quale le aliquote fiscali si fermano a una certa tassazione senza proseguire oltre, insomma più si diventa ricchi maggiori dovrebbe essere la tassazione.
Da alcune simulazioni si evince che i redditi vicini ai 35 mila euro lordi all’anno saranno i più tartassati per il mancato adeguamento delle aliquote Irpef, delle detrazioni e dei bonus fiscali, ragione per cui il lieve incremento salariale sarà superato dalla maggiore pressione fiscale.
Sarebbe sufficiente decuplicare l’aliquota fiscale oggi esistente aumentando il prelievo per quantità che superano i 70 mila euro l’anno per salvaguardare fiscalmente i redditi medi e bassi?
E ancora una volta scopriamo gli effetti parziali e divisivi della tassa piatta pari questa volta al 5% sugli aumenti dovuti ai rinnovi contrattuali e solo per i redditi fino ai 28 mila euro. Questa tassa, insieme alla seconda aliquota Irpef che passa dal 35% al 33%, restano misure del tutto insufficienti che colpiranno parte importante dei salariati.
E’ sufficiente infatti qualche ora in più di straordinario (richiesta dalle imprese e dai contratti nazionali per altro) per superare la soglia oltre la quale la tassazione diventa maggiore, la domanda senza risposta è perché inserire dei paletti in una soglia media delle retribuzioni?
Nella pratica prendiamo come esempio un reddito da 35 mila euro ipotizzando l’aumento salariale del 2%, che poi sarebbe in linea con l’inflazione ma di gran lunga inferiore al potere di acquisto.
L’aumento netto in busta paga sarebbe di circa 410 euro annui ma il lavoratore avrà un drenaggio fiscale di oltre 1500 euro per il mancato adeguamento in proporzione delle tasse.
Cosa vogliamo allora sostenere?
Che un piccolo aumento stipendiale potrebbe portare a una maggiorazione delle tasse e alla fine le uscite sarebbero maggiori delle entrate. E’ possibile intervenire e correggere questa iniquità? Senza dubbio, nella discussione della Legge di Bilancio ci sono margini di cambiamento ma per andare in questa direzione il Governo dovrebbe ripensare la sua politica fiscale con nuove aliquote fiscali, decisamente maggiori per le fasce di reddito elevate.
Se superare allora i 32 mila euro annui per poche decine di euro comporta un elevato aumento delle tasse quale sarà il vantaggio per la classe media? Nullo, anzi saremo in rimessa.
E nelle fasce più basse, ad esempio redditi da 15 mila o 20\22 mila euro questa sperequazione non esiste ma nel loro caso gli aumenti contrattuali al di sotto del costo della vita hanno un potere distruttivo del potere d’acquisto come si evince anche dall’aumento dei poveri relativi e assoluti. Insomma per chi non arriva a fine mese il problema è innanzitutto quello di accrescere sensibilmente i salari prima di ragionare del sistema fiscale.
Cosa chiedere allora al Governo?
Tante aliquote fiscali quante ne esistevano 40 anni fa, un fisco che guarda meno ai redditi sotto 35 mila euro e assai di più a quelli sopra 100 mila, aumentando i contratti adeguati al potere d’acquisto.
Una riforma del drenaggio fiscale o, per dirla all’inglese fiscal drag, che poi è l’aumento del fisco in base al rapporto tra imposte dirette e indirette, contributi sociali e PIL, rivedendo i meccanismi a vantaggio dei redditi medio bassi, specie in periodi nei quali la caduta cresce sensibilmente come avvenuto negli ultimi anni.
E attenzione che ridurre la seconda aliquota Irpef sarà una misura di classe che andrà a salvaguardare quanti all’anno dichiarano tra i 50 ei 200 mila euro, saranno loro a guadagnarci molto più di quanto accadrà a chi all’anno percepisce 30 mila euro (con benefici di pochi euro in più al mese).
La detassazione degli aumenti contrattuali al 5% è destinata ai redditi sotto i 28 mila euro, a noi questa misura sembra del tutto demagogica e insufficiente, insomma se le inventano di tutte per giustificare le politiche di austerità salariale. Per chi possieda ad esempio oltre 2 milioni di reddito (sono in 500 mila in Italia) potrebbe essere applicata un’aliquota tale da avere oltre 26 miliardi di euro da investire nel welfare. Questa sarebbe una scelta coraggiosa e con benefici immediati sul nostro stato sociale comatoso.
Il potere d’acquisto non si salvaguarda con la riduzione delle tasse ma con aumenti salariali, se poi il fisco volesse essere equo e non vessatorio dovrebbe stabilire delle regole vantaggiose per i salari medi e bassi ma questa scelta farebbe entrare il proponente (il Governo) in rotta di collisione con i poteri forti e con la Finanza che invece guarda con interesse e compiacenza alle politiche della Maggioranza di centro destra.