Alle coordinatrici ed ai coordinatori della CUB
Alle coordinatrici ed ai coordinatori della FLAICA
Il dibattito interno alla CUB sull’adesione al TUR si presenta come una discussione fortemente falsata. Il punto di vista con il quale guardiamo a questo dispositivo è profondamente sbagliato perché non tiene conto del fatto che il Testo Unico non è un istituto a sé stante ma un pezzo di una costruzione complessiva.
Il nostro paese vive da trent’anni a questa parte una contraddizione tra la desertificazione industriale in atto a partire dai primi anni Novanta e la costruzione di un modello neocorporativo di gestione delle relazioni lavorative incentrato sulle istituzioni di rappresentanza padronali, sul sindacalismo istituzionale e sull’intervento del governo nel determinare le condizioni di sviluppo delle politiche produttive.
A partire da quegli anni viene costruita una vera e propria architettura istituzionale coinvolgendo questi soggetti, cui la parte politica garantisce l’esclusività della rappresentanza degli interessi e un cospicuo ritorno economico (nei termini di distacchi, istituti per la previdenza e la sanità integrativa,…), in cambio di politiche sindacali basate sulla rinuncia a un’effettiva contrattazione e all’adesione a un modello che vede il recupero dell’inflazione come unico orizzonte del rinnovo dei contratti.
La costruzione di questo modello è andata avanti in questi trent’anni per tentativi ed errori, tipicamente l’accordo per l’elezione della RSU del 1993 viene rimesso in discussione proprio con il TUR perché non garantiva l’assoluta dipendenza della rappresentanza aziendale dai vertici sindacali e perché lasciava tutto sommato ampi spazi di mobilitazione e conflitto sul livello della singola azienda, non prevedendo meccanismi di controllo ed esclusione gestiti direttamente dall’alto.
Lo scopo del quadro neocorporativo che ha preso forma in questo lungo lasso di tempo è proprio quello di distruggere le soggettività sui luoghi di lavoro, rendendo inutile la contrattazione e soprattutto rendendo ininfluente le capacità di lavoratrici e lavoratori di incidere sui rapporti di forza all’interno delle aziende
Il quadro neocorporativo che prende forma in quegli anni, infatti, prende in considerazione tutte le possibili forme con le quali le classi lavoratrici potrebbero esercitare pressione e forza nei confronti delle controparti:
– la regolamentazione dello sciopero inizia nel 1983 con il Protocollo Scotti e l’accordo IRI-Intersind e culminata con la legge 146/90 e 83/2000 che di fatto impediscono la possibilità di effettuare scioperi incisivi in tutto il settore pubblico, estendendo l’interpretazione di questo a tutte le lavoratrici e lavoratori che lavorino in servizi cosiddetti essenziali
– la progressiva estensione della precarietà lavorativa nel paese che, a partire dalla legge Treu e, soprattutto, dalla formidabile estensione dei contratti a termine conseguente alla Legge Biagi del 2003, hanno prodotto un bacino sempre più largo di manodopera flessibile, senza prospettive di miglioramento personale e sempre meno interessata alla e dalla contrattazione collettiva
– l’assenza di garanzie del reddito che prescindano dalla condizione lavorativa delle persone. In questo quadro l’unica novità intercorsa in questi anni, il Reddito di Cittadinanza varato dal governo giallo-verde nel 2018, è stato non a caso colpito ed abbattuto dall’attuale maggioranza sostanzialmente per la sua caratteristica di “pavimento” salariale sotto al quale non conveniva a nessuno accettare un impiego
– allo stesso modo la decisa opposizione all’introduzione di un salario minimo per legge che, non a caso ha visto per decenni l’opposizione di Cgil-Cisl e Uil che verrebbero parzialmente privati del loro ruolo esclusivo di rappresentanza. lo stesso stravolgimento recente della posizione della Cgil in questo senso deriva più dalla volontà di acquistare ruolo nei confronti di un governo non amico che non da un reale ripensamento della propria posizione su di un tema così delicato
Il dato denunciato sopra riguardante la natura complessiva della ristrutturazione delle relazioni lavorative nel paese, è ulteriormente dimostrato da due istituti presenti all’interno del TUR e che rafforzano ulteriormente la limitazione del diritto di sciopero: l’esigibilità dei contratti e la previsione dei periodi di tregua sindacali in cui lo sciopero viene vietato non per disposizione di legge, ma per accordo pattizio.
– l’esigibilità dei contratti pone un limite pesantissimo all’attività sindacale che deve cessare nel momento in cui la maggioranza della rappresentanza approva un accordo; in questo modo si scende al di sotto anche di quanto previsto nelle democrazie liberali dove non è prevista la cassazione delle agitazioni contro una legge ritenuta ingiusta
– il cosiddetto periodo di tregua impedisce allo stesso modo l’attività sindacale prima della contrattazione, così depotenziandola e facendone un mero strumento ad uso e consumo delle direzioni sindacali esterne all’azienda.
L’adesione a questo accordo, in definitiva rappresenta un vero e proprio cambio di pelle da parte della nostra Confederazione; si accetta il terreno neocorporativo sul quale sono state costruite le relazioni capitale-lavoro in questo paese a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo, con tutte le conseguenze del caso. La prima delle quali è la necessaria accettazione del resto del modello, iniziando dalle limitazioni al diritto di sciopero che, giustamente, continuiamo a contestare.
Siamo su di un crinale difficile; il rischio di cadere nel calderone del sindacalismo residuale che rinuncia alla propria funzione di amplificatore e potenziatore del conflitto è lì davanti a noi. E’ necessario, invece, dotarsi di un’altra struttura innanzitutto mentale e agire al di fuori delle regole date nelle relazioni sindacali, curando invece le necessarie alleanze sociali con tutte quelle esperienze che nella contestazione dell’ordine costituito hanno sviluppato in questi anni quanto manca al mondo delle classi lavoratrici: l’alterità conflittuale e lo sviluppo di una soggettività estranea al mondo del capitale.
FLAICA-CUB Torino e Città Metropolitana