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I docenti italiani sempre in fondo alla lista degli stipendi

Un contributo alla discussione
di Alina Rosini
 
Anche per quest’anno gli stipendi dei docenti italiani sono tra i più bassi in Europa e non sembrano destinati a migliorare, a meno che non ci si voglia sottoporre a un fantasmagorico percorso di formazione triennale profumatamente pagato dall’interessato per diventare un “esperto docente”, anche se in cosa consisterebbe tale figura rimane tuttora un mistero.
Non paghi del brillante in-successo del docente tutor e orientatore, la professione insegnante viene depauperata della sua essenza mentre si prospetta una figura che assomiglia sempre più a quella di un facilitatore, ossia poco più di un babysitter.
L’impoverimento culturale viene inoltre aggravato dall’imminente autonomia differenziata che divide i lavoratori e le lavoratrici e aumenta il controllo politico sulla scuola.
Il sapere e la conoscenza non interessano a questo governo: meno si hanno capacità critiche, più si rende fertile il terreno per nuovi autoritarismi.
È prevista la riforma degli Istituti Tecnici e Professionali, che oltre a vedere il taglio di un anno di didattica, (si passa da 5 a 4 anni) perdono la connotazione di “scuola”: il nuovo percorso è spudoratamente aziendalistico e si chiamerà “filiera formativa teconologico-professionale”.
Oltre a una manciata di ore curricolari, la filiera si concentrerà sull’interazione con le aziende del territorio.
Vista la situazione attuale del mercato del lavoro, il risultato non potrà che essere più ignoranza, più sfruttamento e disoccupazione.
D’altronde l’idea ministeriale di scuola è, da una ventina d’anni a questa parte, quella di una vera e propria azienda che si vorrebbe sempre più grande e con costi sempre più contenuti.
Nei prossimi due anni, circa 700 scuole verranno accorpate ad altre col chiaro risultato di avere classi sempre affollate, personale ata e di segreteria numericamente inadeguato, docenti che correranno da una parte all’altra della provincia per raggiungere le scuole in cui verranno dislocati e dirigenti scolastici che dovrebbero gestire un numero di plessi e di studenti sempre più alto.
Meno dirigenti, dunque, ma più ricchi con una diminuzione veloce e progressiva della democrazia interna alle scuole.
La scuola/azienda è inoltre un bacino fertile da cui attingere, ed anche le forze dell’ordine non si sottraggono alla presenza nelle scuole in un’ottica di subordinazione degli studenti ad una logica di reato-repressione-punizione.
Sono ormai all’ordine del giorno corsi e conferenze di carabinieri, polizia, polizia postale ecc. sui più svariati argomenti: esiste quindi un’occupazione degli spazi didattici e culturali sempre più pressante la presenza dell’esercito, dei militari e della polizia.
La commistione tra scuola e militari è più forte nei territori dove sono presenti le basi NATO. Il nuovo governo e i conflitti in corso hanno sdoganato un nuovo immaginario relativo alla guerra dove i buoni e i cattivi sono facilmente identificabili, dove le forze di protezione e gli approvvigionamenti di armi diventano fondamentali: l’Italia ha bisogno di un esercito forte e fedele, dobbiamo tutti essere pronti per un’eventuale difesa. Di conseguenza, la cultura della guerra si propaga e la carriera militare viene esaltata anche attraverso i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO) proprio nell’ambiente in cui si dovrebbe insegnare ai ragazzi a sviluppare un pensiero critico e fornire loro gli strumenti per ideare e costruire percorsi di pace.
É imminente la firma del nuovo contratto che sostanzialmente prevede più potere ai dirigenti e sottintende l’imporre ai docenti pedagogie di Stato e non una formazione che rispetta la libertà di scelta sancita dalla costituzione.
 
Nel frattempo alcuni sindacati concertativi hanno ben pensato di trasferire i TFR del personale della scuola ai fondi pensione ESPERO, tramite il silenzio assenso per gli immessi in ruolo dal 2019.
Gli sbandierati “aumenti” sono ridicoli per non dire umilianti, mentre la mole di lavoro causata dall’imperante burocratizzazione moltiplica il numero delle ore non contabilizzate degli insegnanti.
L’anno appena trascorso è stato caratterizzato dal mantra contro i voti a scuola, ai quali vengono imputati i sempre crescenti disagi delle nuove generazioni. E’ una campagna che nasconde goffamente la nuova linfa vitale che il Ministero vuole dare all’INVALSI, entrato a pieno titolo nel gotha dell’Altra Scuola di Formazione e che si vuole far diventare l’unico “vero e imparziale” sistema di valutazione, contribuendo pesantemente allo svuotamento della scuola.
Non va meglio agli aspiranti docenti che, oltre ad essere vittime in balia di algoritmi cibernetici, si dovranno sottoporre a rocamboleschi percorsi per raggiungere l’agognato ruolo.
La Riforma Bianchi è ormai in vigore, portandosi dietro CFU obbligatori per l’abilitazione a costi elevati, senza prevedere meccanismi per contenerli che siano legati, per esempio, al reddito come già attuato dalle università per i corsi di laurea.
Inoltre, gli aspiranti docenti che affronteranno il concorso straordinario ter si troveranno a misurarsi con una nuova prova unica nazionale a risposta multipla, focalizzata sulla pedagogia, la psicologia, la didattica, l’inclusione e la normativa scolastica: un bando che sembra esser fatto con un rozzo “copia-e-incolla” che la dice lunga sul rispetto ministeriale per la professione docente.
La situazione peggiore la stanno vivendo i precari con supplenze brevi che vedono lo stipendio due o tre volte l’anno, a piacimento del MEF; confidiamo nella messa in pratica di un ordine del giorno recentemente approvato che prevede l’accreditamento stipendiale entro la fine del mese successivo.
 
Il corpo docente, solitamente poco partecipe e piuttosto succube, sembra muovere passi di autodeterminazione: il liceo Albertelli di Roma ha avuto la forza di contrastare i progetti del PNRR, molte sono le scuole che negli ultimi giorni dell’anno si sono riunite nei collegi dei docenti e hanno rigettato le sperimentazioni relative alla filiera tecnologico-professionale con contrazione del corso di studi a quattro anni e/o hanno ampiamente motivato il diniego ai dimensionamenti.
 
Auspichiamo che nel 2024 i docenti facciano scuola: Buon anno di lotta!

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