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Inflazione e salari

INFLAZIONE E SALARI

I dati Istat comunicati nella Nota mensile sull’economia italiana del 13.01.2023 certificano che le spinte inflazionistiche a fine 2022 sono ancora altissime. In base alla stima preliminare, a dicembre la variazione tendenziale dell’indice per l’intera collettività (NIC) è stata pari a 11,6% (da 11,8% di novembre)

L’inflazione media del quarto trimestre (+11,7% in termini tendenziali) ha segnato, addirittura, un’ulteriore decisa accelerazione rispetto ai tre mesi precedenti (+8,4%). Il rallentamento di dicembre è dipeso dai prezzi dei beni energetici (+64,7% da +67,6% di novembre) e dai beni alimentari non lavorati (+9,5% da +11,4%). Di contro, la componente dei beni lavorati è accelerata (+14,9% da +14,3%) a fronte di una sostanziale stabilizzazione di quella degli altri beni (+5,1% da +5,0%). I prezzi dei servizi hanno mostrato complessivamente un dinamismo crescente (+4,1% da +3,8%) con l’eccezione dei trasporti (+6,0 da +6,8%).
Il “carrello della spesa” di dicembre, che sintetizza i prezzi dei beni alimentari per la cura della casa e della persona, ha segnato un calo insignificante (12,6% da 12,7% di novembre). Nello stesso mese, l’inflazione di fondo al netto degli energetici e degli alimentari freschi è accelerata (+5,8% da 5,6%), confermando la persistenza del fenomeno inflattivo. Il segnale sull’andamento generale dei prezzi per l’anno in corso proviene dall’inflazione acquisita dell’indice generale che per il 2023 continua a mostrare una dinamica crescente (+5,1%), dando la misura della diffusione del fenomeno inflattivo tra le diverse tipologie di beni al consumo. A dicembre, anche l’indice dei prezzi al consumo armonizzato (IPCA-Indice dei Prezzi al Consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea) ha mostrato un lievissimo calo (12,3% da 12,6% di novembre) mentre il differenziale con l’area euro (3,1 punti percentuali) si è ancora ampliato rispetto a novembre (era 2,5 p.p.) per effetto della maggiore crescita dei prezzi dei beni energetici e degli alimentari in Italia.

la situazione italiana 
La componente dell’indice IPCA Italia al netto degli energetici ha mostrato una variazione stabile rispetto a novembre e pari a 6,5%. La crescita media dello stesso indice nel 2022 è stata pari a 4,5%. Questo indice, preso a riferimento per i rinnovi contrattuali, ha come conseguenza una perdita strutturale del potere d’acquisto dei salari rispetto all’inflazione reale. A fronte di un’inflazione alta e persistente, si aggrava quindi la perdita del potere d’acquisto di salari, stipendi e pensioni.

Secondo il rapporto ARAN (Rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti) le retribuzioni contrattuali medie annue dei dipendenti pubblici sono cresciute tra il 2013 e fine settembre 2022 del 6,7% a fronte di un aumento dei prezzi nello stesso periodo del 13,8% e una crescita dei salari del privato esclusi i dirigenti dell’11,6: sono quindi oltre sette i punti percentuali persi per il potere d’acquisto dei salari. Da notare che il rapporto si ferma a settembre 2022 quando l’inflazione acquisita in corso d’anno era già al 7,1% a fronte di un aumento delle retribuzioni pubbliche dello 0,9%.
Le retribuzioni dei dirigenti pubblici sono salite del 9,9% tra il 2013 e il 2022, con una perdita di potere d’acquisto limitata a quattro punti, ma il personale non dirigente ha perso ben 9 punti, con un recupero limitato al 4,9%. Gli aumenti differenziati hanno comportato un aumento delle diseguaglianze retributive nel settore.
Se si guarda solo al 2022 (anno per il quale i dati sono limitati a settembre) si registra una perdita di potere d’acquisto consistente per tutti i comparti (privato e pubblico) a causa dell’inflazione annua acquisita a settembre al 7,1% (ma la media annua a fine anno è salita all’8,1%). Per il settore pubblico l’aumento nominale dei salari si è limitato allo 0,9% (+1% non dirigenti, +0,7% dirigenti) mentre nel settore privato esclusi i dirigenti si è fissato all’1% (+1,5% l’industria, +0,5% i servizi). Per l’indice generale dell’economia le retribuzioni sono cresciute nominalmente dell’1,1% nei primi nove mesi del 2022 e del 10,2% tra il 2013 e il 2022.
L’inflazione 2022 rischia quindi di far perdere in un solo anno il 10% secco del potere d’acquisto, senza contare che l’inflazione è asimmetrica e colpisce più che proporzionalmente le fasce più basse della popolazione. Si tratta di avviare subito un ciclo di rinnovi contrattuali con forti aumenti salariali e la ripresa dell’indicizzazione di stipendi e pensioni al costo della vita per non perdere ulteriore terreno. 

(Elaborato da Renato Strumia per l’Ufficio Studi Cub)

 

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