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La guerra del capitalismo

In occasione dello sciopero generale del 2 dicembre scorso, la piattaforma della Confederazione Unitaria di Base e degli altri sindacati conflittuali non si limitava a rivendicazioni in ambito salariale ma legava questi temi anche alla richiesta di un cambio di rotta del Governo per quanto riguarda le spese destinate agli armamenti e al conflitto in corso tra Russia e Ucraina

Lo sciopero doveva servire non solo per indicare quelle che sono le necessità di lavoratrici e lavoratori legate al salario ma occorreva porre l’accento sulla necessità di trasformare la giornata, in una giornata a difesa dei diritti fondamentali, che si stanno quotidianamente calpestando, e soprattutto in una giornata di denuncia contro ogni guerra e contro ogni sorta di discriminazione. Tra le priorità poste vi è un progressivo azzeramento delle spese militari e, di conseguenza, l’uscita dalla Nato in conformità con l’Articolo 11 della nostra Costituzione, che recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Ovviamente, non basta dirlo ma andrebbe costruito un percorso, nel tempo. In ogni caso la Cub, insieme agli altri sindacati di base e conflittuali, ha inteso sottolineare questa scelta in maniera forte. Chiedere il disimpegno dalla guerra in atto, comporta anche un riorientamento delle spese militari: i due argomenti sono strettamente connessi. È impensabile spendere milioni di euro per le armi – e, tra l’altro, durante il Governo Draghi, è stato approvato l’aumento dell’incidenza di tali spese (già molto elevate) al 2% del Pil. Tra le istanze che la Cub porta avanti non vi è tanto il discorso del recupero salariale ma che siano stanziate somme adeguate per i salari e le pensioni. Perché anche quando finisci di lavorare e sei in pensione hai diritto a una vita dignitosa e, quindi, a una pensione che quantomeno sia equiparata al costo della vita. Tagliando le spese militari, e qui si nota come tale scelta sia non solamente politica ma anche sindacale, si possono dirottare finanziamenti verso lo stato sociale o il welfare del Paese.
Oggi si discute del reddito di cittadinanza e il nuovo Governo se ne sta occupando ma se non viene presa una posizione chiara intervenendo concretamente su quello che deve essere lo stato sociale in un Paese che si definisce civile e democratico, non si potrà mai garantire un reddito dignitoso esteso a tutte e tutti coloro che ne hanno bisogno. E uno dei modi per cominciare sarebbe l’azzeramento delle spese militari, usate per l’acquisto di F35 o per le armi che sono mandate in Ucraina, per poter intervenire positivamente sullo stato sociale.

 

 

 

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