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Commercio e GDO si mobilitino

I LAVORATORI DEL COMMERCIO E GRANDE DISTRIBUZIONE DEVONO MOBILITARSI PER RICONQUISTARE TUTTI I DIRITTI CHE GLI SONO STATI SOTTRATTI – 2 DICEMBRE 2022 SCIOPERO GENERALE!

In Italia i salari sono più bassi di 30 anni fa. Il blocco dei rinnovi contrattuali, lo smisurato aumento di contratti part-time, la diffusione della flessibilità/precarietà sono stati i principali responsabili di questa spirale negativa e i settori del Commercio e della Grande Distribuzione sono tra i più rappresentativi di questa dinamica

Salari bassi: Il CCNL Commercio e Terziario Confcommercio è il più applicato dalle aziende, coprendo quasi 3 milioni di dipendenti. Rinnovato nel 2015, è scaduto a fine 2019. Nell’ultimo rinnovo era stato previsto un aumento salariale a regime di soli 85 € e, per circa un anno, le parti sociali avevano persino concordato di sospendere una tranche di aumento di 16 €. Il CCNL Distribuzione Moderna Organizzata, rappresenta alcuni dei principali marchi della grande distribuzione organizzata (Ikea, Esselunga, Carrefour, Bennet, Metro, Zara, Ovs, La Rinascente ecc.). Nel 2019 ha parificato le retribuzioni a quelle di Confcommercio. Questi due CCNL sono tra i più rappresentativi nei settori. Le retribuzioni base dei livelli più diffusi, che sono il 6° (operaio comune), il 5° (operaio qualificato) e il 4° (operaio specializzato), rispettivamente di 1405.87, 1508.95 e 1616.68, sono assolutamente inadeguate a fronteggiare il carovita e si riferiscono ai lavoratori full-time, cioè solo il 40% del totale! A fronte di un’inflazione aumentata dello 0% nel 2020, dell’1.9% nel 2021 e di circa l’11% quest’anno, servirebbe un aumento di almeno 210 €, calcolato sul 4° livello. Ma l’indice ISTAT dei consumi utilizzato per calcolare l’inflazione ha poco a che fare con i consumi dei lavoratori; l’incidenza reale sulle classi popolari è ancora più forte, e quindi anche un aumento di quell’importo risulterebbe non sufficiente.

Precarietà
Le lavoratrici e i lavoratori di questi settori stanno subendo sulla propria pelle la sperimentazione delle forme più vessatorie di organizzazione flessibile del lavoro. Commercio e GDO sono i settori con la maggior incidenza dei contratti part-time, che in Italia sono oltre 3 milioni, in stragrande maggioranza “involontari”, cioè non richiesti dal lavoratore ma proposti dalle aziende, spesso anche di sole 20 ore settimanali che non garantiscono uno stipendio minimo adeguato. Quasi sempre vi sono abbinate le cosiddette “clausole elastiche”, cioè la possibilità per l’azienda di variare l’orario di lavoro del dipendente, con un preavviso minimo e a fronte di una piccolissima maggiorazione (1.5%), il che rende impossibile trovare un secondo impiego per arrotondare. Gli ultimi rinnovi contrattuali, inoltre, hanno introdotto dei nuovi meccanismi di flessibilità delle turnazioni, per cui le aziende possono aumentare l’orario di lavoro fino a 44 ore settimanali (estendibili a 48 con accordi di II° livello) per 16 settimane all’anno, cioè durante i picchi di vendita, pagandole in ordinario e facendole recuperare successivamente ! Con la liberalizzazione del lavoro domenicale le lavoratrici e i lavoratori hanno subito una perdita salariale secca, passando dalla volontarietà all’obbligatorietà e da una maggiorazione dal 130 al 30%.
È sempre più diffusa l’esternalizzazione in appalto di segmenti operativi (imbustamento spesa, consegna a casa, pulizie, ristorazione, vigilanza…) a cooperative e srl che applicano contratti nazionali peggiorativi. A ogni cambio d’appalto i lavoratori rischiano di perdere qualcosa, sino a essere sotto pagati e precari. Emblematico è il caso dei servizi di prevenzione per la sicurezza, appaltato ad aziende che applicano il CCNL Servizi Fiduciari che ha paghe inferiori alle 5 € lorde all’ora. Questi lavoratori e lavoratrici sono una delle categorie più precarie e sfruttate del mondo del lavoro e nonostante ciò rischiano tutti i giorni la vita.

Rinnovo contrattuale? Le aziende vogliono più flessibilità!
Le associazioni datoriali hanno già tirato in ballo il “carobollette” per dire che i futuri aumenti salariali saranno risicati. L’“evoluzione dell’organizzazione del lavoro” viene strumentalizzata per chiedere una ulteriore iniezione di precarietà, a partire dai mansionari e dell’inquadramento. Il rischio è di vedere quanto già accaduto nel CCNL Metalmeccanici e Servizi Ambientali, in cui il livello d’inquadramento (e lo stipendio corrispondente) sarà definito in base a un glossario composto da elementi come “autonomia-responsabilità”, “competenze relazionali”, “polivalenza”, “miglioramento continuo”, “problem solving” ecc. Questi però non sono parametri oggettivi come la mansione bensì valutazioni soggettive che possono essere deformate a uso e consumo dell’azienda. L’obiettivo è quello di poter gestire ancor più liberamente la manodopera, favorendo anche i demansionamenti. Inoltre, aziende e Filcams – Fisascat – Uiltucs cercheranno di restringere ulteriormente gli spazi di democrazia in azienda, per provare ad arginare la diffusione del sindacalismo di base e soprattutto per impedire che si ripetano esempi come quello di Ikea, in cui l’azienda è stata condannata dal Giudice del lavoro a convocare il nostro sindacato, la Flaica – CUB alle prossime trattative nazionali sul rinnovo del Contratto Integrativo Aziendale. La pronuncia chiarisce che il datore di lavoro deve scegliere i propri interlocutori sindacali in base alla loro effettiva rappresentatività e non può escludere le organizzazioni sindacali che difendono in maniera intransigente i diritti dei lavoratori se queste hanno effettivo consenso. In pratica scardina il vigente sistema anti-democratico delle relazioni sindacali che ne garantisce il monopolio a CGIL – CISL – UIL, indipendentemente dal loro effettivo seguito tra i lavoratori e le lavoratrici.

 

 

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