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Decrescita: se non ora, quando?

L’8 settembre a Venezia si è tenuta una conferenza parte di un percorso nato nel 2021 all’interno della Società della Cura, nato dalla collaborazione tra gli organizzatori della conferenza di Venezia e il Tavolo Lavoro della Società della Cura. Le realtà promotrici hanno da tempo avviato un percorso di confronto e convergenza con l’obiettivo primario di fare dialogare diverse culture politiche e organizzative sul tema cruciale del lavoro e del modello di sviluppo dominante di fronte alla sfida della necessaria e urgente transizione ecologica. Ma quale transizione vogliamo e verso quali modelli di società ed economia essa deve tendere? E soprattutto, come la realizziamo affinché sia praticabile, concreta ed inclusiva, a partire dai lavoratori e dalle lavoratrici che pagano il prezzo salatissimo della crisi multidimensionale in cui siamo immersi e che saranno via via espulsi, i più senza rete, da catene globali di fornitura in rapida e radicale trasformazione e contrazione?

Alla sessione dal titolo “Il lavoro e la cura nella transizione ecologica“, è intervenuta Enrica Gabelli, operatrice del settore sanitario da un trentennio e delegata Cub Sanità di Milano, che ha parlato delle problematiche che affliggono il settore e delle lotte messe in campo per ottenere un miglioramento delle condizioni di lavoro degli operatori e di cura per i pazienti.

“Sono Enrica Gabelli, da 30 anni operatrice assistenziale in strutture che accolgono disabili e anziani, oltre che operatrice sindacale Cub Sanità Milano, che è c
omponente del Conpal-Coordinamento Nazionale Parenti Associazione Lavoratori, costituito nel marzo 2022 con lo scopo di denunciare la situazione di inadeguatezza relativa al settore socioassistenziale e sanitario del nostro Paese. Voglio partire dai concetti di dignità e di cura in ambito sanitario e assistenziale. Concetti che abbiamo visto svuotarsi di contenuti anche in questo settore. Da vent’anni a questa parte circa 150 ospedali pubblici sono stati chiusi e assistiamo a una spinta sempre maggiore verso la privatizzazione del settore, il nuovo PNRR in materia di sanità chiarisce bene dove andranno le risorse, che non saranno investite, ancora una volta, nell’ implementazione del servizio sanitario nazionale.
Le prestazioni sanitarie sono sempre più prerogativa di soggetti privati i quali ovviamente mirano a trarne profitto. Il settore socio assistenziale per intenderci: residenze per anziani, disabili, malati psichiatrici, ha subito anch’esso un massiccio processo di privatizzazione e le realtà sono gestite a livello regionale in una prospettiva che risponde a criteri generali, cioè comuni sul territorio italiano, solo dal punto di vista strutturale: capienza di struttura numero posti letto per tipologia metrature per stanze ad un letto, a due letti numero di bagni…
I soggetti che si sono affacciati a questa frontiera di business sono diversi: dalle multinazionali, alcune quotate in borsa, alle associazioni a carattere religioso alle cooperative sociali. Tutte hanno al centro del loro interesse il profitto.

  • In questo contesto assistiamo a situazioni gestionali assolutamente diverse da regione a regione con differenze marcate sulla qualità, sempre in secondo piano, della assistenza erogata alle persone ricoverate.
    Uno dei criteri comunemente adottato dalle regioni per definire la quantità del personale che deve essere impiegato si basa sui minuti di assistenza necessari a garantire la corretta gestione nell’arco della giornata del paziente ricoverato, cosi vediamo situazioni in cui per garantire la sopravvivenza di una persona parzialmente autosufficiente o non autosufficiente, 900 minuti a settimana appaiono adeguati.
    È pacifico che le strutture private accreditate difficilmente vanno sopra i criteri minimi.
  • Come si può notare non ho parlato né di cura, né di dignità, infatti il così detto criterio del minutaggio nasce nelle fabbriche per meglio organizzare le catene di montaggio, per tanto già la similitudine con le necessità di un essere umano fa inorridire, in oltre il suddetto criterio fa sì che gli operatori non abbiano tempo “umano” da dedicare ai pazienti, non c’è tempo per ascolto, non c’è tempo per empatia non c’è tempo… non c’è tempo per tutto ciò che dovrebbe essere tempo di vita di relazione tutto ciò che viene promesso a chi, suo malgrado si trova costretto a dover scegliere di vivere in una realtà che promette di essere “protetta” e “protettiva” il semplice motivo è che i 900 minuti a settimana si traducono in 2 operatori con 20 pazienti volendo poi garantire assistenza infermieristica, medici specializzati, educatori che a loro volta si occupano di 30/40/60 utenti.
  • Questo criterio minimo non tiene poi conto delle assenze a vario titolo, ferie, permessi, malattia, maternità… che non vengono sostituite, mettendo a rischio la sicurezza stessa degli utenti residenti.
    Ma non basta, in alcune realtà il margine di profitto si gioca anche sul il numero di biscotti, sul numero di pannoloni che debbono essere cambiati in un giorno, sui quantitativi di shampoo o bagnoschiuma, se non addirittura attraverso l’introduzione di prodotti che possano sostituire del tutto anche l’acqua durante le operazioni igieniche… metodi scientificamente provati, testati e per tanto approvati dai direttori sanitari.

L’utente viene così trasformato in oggetto della cura e non più soggetto, non più al centro della organizzazione del lavoro bensì facente parte.

CUB Sanità si è molto radicata sul territorio e nel settore socioassistenziale perché qui ha individuato la parte più fragile degli ultimi sia come tipologia di utenza, anziani disabili che come categoria di lavoratori, i quali sono sottoposti ad un lavoro usurante fisicamente, a causa di ritmi disumani e psicologicamente.
Non esiste nessuno studio approfondito e specifico da parte delle istituzioni addette Inail e Inps, che preveda un sistema di individuazione di rischi specifici delle mansioni sanitarie, assistiamo ad un aumento esponenziale di lavoratrici e lavoratori che non arrivano in condizioni fisiche idonee alla pensione, e per ciò spesso perdono il lavoro a causa di malattie professionali non riconosciute, frontiera questa di difesa del diritto che deve essere ancora conquistata in questo settore, assistiamo ad infortuni che non vengono sottolineati dai mass media ma che ogni giorno mietono vittime, il nostro obbiettivo è arrivare a dimostrare che il lavoro cosi come è organizzato non solo non produce salute e benessere per gli utenti, ma carichi di lavoro eccessivi e malattia per gli operatori.
Molti sono i lavoratori che si trovano a fare i conti con realtà demotivanti perché a fine giornata ed a conti fatti sentono di non aver potuto rispondere professionalmente in modo adeguato alle esigenze degli utenti, parliamo di infermieri di operatori sanitari e assistenziali, di educatori, persone che hanno scelto la “cura” come professione e che si trovano a trattare i propri assistiti in forma di numeri.
Nel settore esistono almeno 10 contratti diversi, molti non vengono rinnovati anche per 10/14 anni e ben al ribasso ogni volta. Per questi motivi stiamo portando avanti richieste chiare alle istituzioni, il settore socioassistenziale deve tornare in carico al servizio sanitario nazionale.

Il progetto CONPAL è scaturito dall’esigenza di unirsi nella lotta abbattendo barriere e preconcetti, volto a contrastare il desiderio ricorrente di additare le responsabilità della ‘mala cura’ al singolo lavoratore, bensì individuando le precise responsabilità in un sistema capitalista, volto al profitto, chiedendo un sistema di cura con costi a carico della collettività, allo scopo di ripristinare il concetto di dignità, a garanzia di ogni cittadino sia utente sia lavoratore.
Cub Sanita ritiene la collaborazione con CONPAL un fiore all’occhiello in quanto ci permette di condividere il desiderio di intervento in difesa nei diritti sia di utenti, di parenti che lavoratori, i quali voglio ricordare sono coinvolti su tre livelli: come lavoratori, come cittadini utenti e come contribuenti.
Ampliando la protesta La mobilitazione facendo arrivare le nostre istanze e scuotendo le coscienze poiché siamo tutti coinvolti e rivendicando una Sanità Pubblica, Universale e Gratuita.”

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