In pochi ricordano che per 9 anni i salari della Pa sono rimasti fermi per decisione governativa e per rispondere ai dettami Ue che imponevano il taglio alla spesa pubblica. Negli ultimi 10 anni i salari pubblici sono rimasti al palo mentre negli altri Paesi Ue sono visibilmente cresciuti.
Con il rinnovo dei contratti nazionali nei comparti della Pa, la spesa di personale aumenterà e questo costituisce un problema per i paladini dell’austerità.
Ci sono già alcune previsioni secondo le quali con gli ultimi contratti, rinnovati al di sotto del costo reale della vita con quel codice Ipca nato per contenere le dinamiche salariali, la spesa pubblica potrebbe aumentare di quasi un punto in percentuale (numeri a nostro avviso inattendibili se pensiamo al numero dei dipendenti della Pa) ma il vero attacco potrebbe essere sferrato nei confronti delle pensioni tanto che si parla di crescita della spesa previdenziale, sempre negli ultimi due lustri, di quasi due punti in percentuale. Se guardiamo all’età media della popolazione italiana, il numero dei pensionati è il frutto delle nascite negli anni del boom economico, l’anticipo dell’uscita dal lavoro con la quota 100 ha rappresentato un aumento di spesa molto contenuto soprattutto laddove il calcolo degli anni lavorati è avvenuto interamente con il sistema contributivo.
Piuttosto dovremmo occuparci della erosione del potere di acquisto delle pensioni e di quanti, tra 15\20 anni, usciranno dal mondo lavorativo con assegni pari al 50% dell’ultimo stipendio. Il pensionato in miseria e indebitato è una figura nella quale ci imbatteremo con sempre maggiore frequenza e lo Stato presto dovrà intervenire per supportare il potere d’acquisto di tanti anziani (perché si andrà in pensione a quasi 70 anni di età) con assegni miseri che non permetteranno una vita dignitosa.
Il problema reale è invece taciuto ossia un’economia in crisi e il Pil che non crescerà come nelle previsioni dei documenti ufficiali, da qui anche la spesa sociale potrebbe essere tagliata e non solo per sanità e istruzione che da 40 anni a oggi hanno subito feroci attacchi.
E’ evidente la curva in discesa degli stipendi dei dipendenti pubblici, dopo l’anno 2022 con i rinnovi dei contratti, i redditi da lavoro dipendente nella Pa caleranno, in tre anni, dell’1,2%. I rinnovi contrattuali non consentono un effettivo recupero del potere d’acquisto ma senza gli stessi i salari pubblici andrebbero in default. E nonostante gli ultimi due rinnovi contrattuali, solo tra il 2012 e il 2022, i salari pubblici sono risultati in recessione (0,1%); si perde insomma potere d’acquisto e al contempo diminuisce la spesa pubblica al di là degli allarmi interessati del partito trasversale dell’austerità.
Sempre per restare ai numeri, non si capisce come si possa invece parlare di spesa sanitaria cresciuta a dismisura, la pandemia non può essere la sola giustificazione plausibile a fronte di oltre 40 mila dipendenti mancanti oggi al SSN. I numeri possono essere quindi parziali e discutibili, nel caso della sanità la spesa potrebbe derivare ad esempio dalla privatizzazione di tante prestazioni e dal fatto che ci si affidi, in tante Regioni, a servizi in convenzione che alla fine presentano maggiore spesa.
Ma il dato incontrovertibile resta la perdita del potere di acquisto dei salari pubblici nonostante i rinnovi contrattuali e su questo meriterebbe aprire una discussione reale.
Cub pubblico impiego, Pisa.