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Lavoro povero e sostegni alla povertà

Saluti istituzionali, presenti Giuseppe Conte, presidente M5s; Elisa Pirro, M5S Senato; Mario Turco, vice presidente del Movimento 5 Stelle; Susanna Camusso, PD Senato; Arturo Scotto, PD Camera; Tino Magni, Alleanza Verdi e Sinistra, Senato.

Intervengono:
Nunzia Catalfo, Comitato M5S Economia, Lavoro, Impresa;
Pasquale Tridico, già presidente INPS;
Antonio Amoroso, Segreteria nazionale Cub;
Giuseppe Libutti, Studio legale Libutti-Trotta;
Walter Montagnoli, Segreteria nazionale Cub.

Ieri, 28 febbraio, presso Palazzo Giustiniani a Roma, si è tenuta l’audizione con al centro il tema del lavoro povero e delle possibili forme di sostegno alla povertà, un dibattito a cui hanno preso parte esponenti politici dell’opposizione – in rappresentanza di quei partiti che durante il governo Conte-Salvini avevano per esempio appoggiato l’introduzione anche in Italia del Reddito di Cittadinanza, realtà da tempo in molti altri paesi europei con modelli economico-sociali non distanti dal nostro – e anche due relatori in rappresentanza della Cub – Walter Montagnoli e Antonio Amoroso – il sindacato è infatti firmatario del reclamo al Comitato europeo dei diritti sociali per la non adozione da parte dell’Italia del ‘salario minimo’, quale forma di garanzia perché i lavoratori tutti possano contare su stipendi dignitosi e sufficienti a condurre un’esistenza “libera”, come recita l’articolo 41 della Costituzione.
Il ricorso è stato accolto (vedi la risposta del Comitato europeo) e a questo punto si tratta di passare dalle parole ai fatti, data anche l’unanimità di visione espressa dai politici presenti in rappresentanza di Pd, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra.

Le motivazioni dell’impoverimento generale della classe lavoratrice in Italia e nel resto d’Europa affondano le radici, per restare ai tempi più recenti, già a partire dalla crisi finanziaria globale del 2008, dopo la quale si era vista una lenta risalita, fino al crollo nuovamente innescato nel 2019 dalla pandemia. A fare da argine alla disoccupazione, ai redditi troppo bassi per sostenere l’economia di mercato e la condizione di giovani e donne che più scontano le anomalie del mercato del lavoro italiano, il reddito di cittadinanza è stato uno strumento che, lo dimostrano i dati, aveva contribuito a tamponare la situazione, in cui nel 2020-21 si contavano 2,2 milioni di famiglie italiane in condizioni di povertà assoluta, il 12% di ‘lavoratori poveri’, cioè che hanno un lavoro ma il cui stipendio è inferiore al minimo per non scivolare sotto la soglia di povertà (il rischio riguardava il 30% dei lavoratori attivi). Solo due categorie di lavoratori infatti avevano visto aumentare il proprio salario con adeguamenti all’inflazione, i metalmeccanici e i bancari, ma tutto il resto delle categorie e di coloro che lavorano precariamente o in nero o con contratti ‘pirata sono rimasti in uno stato di stagnazione salariale senza possibilità di recupero sul crescere costante del costo della vita.
Una delle proposte avanzate in Parlamento da partiti ora all’opposizione, e che anche un sindacato come la Cub appoggia, era stata l’introduzione di un salario minimo di 9 euro per legge ma non si è mai arrivati a che si concretizzasse in legge. I timori espressi da coloro che si erano detti contrari a questa misura, in primis Confindustria, paventavano cali di produzione, riduzione della contrattazione collettiva, aumento della disoccupazione e quindi della povertà, tutti fattori che al contrario non si sono verificati nei paesi che hanno adottato questa misura.
In Italia il 43% delle donne lavoratrici guadagna 600 euro netti al mese (da cui stando ai calcoli un domani la loro pensione corrisponderebbe a 200 euro, aprendosi qui un altro grave problema futuro e cioè la povertà di quei pensionati che oggi già sono parte della categoria dei lavoratori poveri), molte di loro, e anche molti giovani e meno giovani, tra l’altro lavorano in forma ridotta con quello che ormai è comunemente definito part-time ‘involontario’, cioè dovuto non alla mancanza di volontà di lavorare con orario pieno ma sulla scarsità di offerta da parte del mercato del lavoro stesso.
Altrettanto dai vari relatori è stata evidenziata un sempre minore investimento in politiche industriali, anche in settori dove le aziende crescono ma si preferisce svenderle all’estero, in particolare a mancare sono gli investimenti in ambito produttivo nei settori più tecnologicamente avanzati, che rappresentano la sfida futura per i paesi che vogliano restare ai primi posti a livello globale. Contemporaneamente è emersa l’assenza di politiche che preparino il terreno a quello che, proprio a causa delle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale applicata, produrranno in termini di enormi fette di settori produttivi dove verrà meno l’esigenza di personale non virtuale, per cui sarebbe necessario ridisegnare il modello economico attuale.
Il governo Meloni, che ha cancellato il reddito di cittadinanza, ha invece deciso di concedere dei sostegni economici di tipo non indifferenziato ma destinati solo a determinate categorie sociali, considerando che i cittadini tra i 15 e i 64 anni di età abili al lavoro siano da considerarsi “occupabili”, poi che il lavoro non ci sia e gli occupabili restino tali solo sulla carta e nelle statistiche non pare suscitare preoccupazione… Ai disoccupati ‘involontari’, per restare in tema di definizioni correnti, si aggiungono poi i milioni di lavoratori ‘non standard’, cioè senza continuità, senza contributi e privi di tutele di welfare e in materia di sicurezza, che oggi toccano la cifra di 3 milioni circa, il doppio di vent’anni fa.
A concludere gli interventi, quello della Cub per cui è stato portavoce Walter Montagnoli della segreteria nazionale, che ha indicato un punto importante all’interno di una discussione che mette al centro misure quali l’introduzione del salario minimo e del reddito di cittadinanza, ossia una seria riforma legislativa in materia di rappresentanza sindacale, per un sistema davvero democratico che consenta una rappresentanza reale, una riforma che si attende da trent’anni e la cui assenza è il motivo per cui sempre più lavoratori hanno nel tempo smesso di partecipare alle questioni che li riguardano direttamente: le lotte per i diritti violati, la richiesta di salari degni, a fronte appunto dell’assenza di vera rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro. Un dato che corrisponde al progressivo allontanarsi della cittadinanza anche dalle competizioni elettorali nazionali ed europee, sempre per l’assenza di una vera rappresentanza che risponda nel concreto alle esigenze espresse dal basso, spesso ignorate, disconosciute o tradite.

SCARICA LE SLIDE UTILIZZATE DURANTE IL CONVEGNO DA PASQUALE TRIDICO, “Il salario dignitoso è un diritto universale – Salario minimo, contrasto alla Precarietà e Povertà “

Intervista ad Antonio Amoroso su radio Roma, 1 marzo 2024, “Salario minimo, ricorso al comitato UE”

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