Le premesse che il 29 di novembre veda una forte partecipazione di lavoratrici e lavoratori allo sciopero ci sono tutte: sia per l’adesione quasi totale delle sigle del sindacalismo di base, sia per la condivisione della stessa data anche da parte di CGIL e UIL. L’occasione, quindi, non deve essere sprecata, perché, dopo tanto tempo, si affaccia la possibilità di una ripresa delle lotte a livello partecipato e non di sole avanguardie, la qual cosa ci dovrebbe far superare ogni residuo imbarazzo sulla coabitazione temporale con CGIL e UIL, perché, se il conflitto riparte, chi avrà più filo da tessere non potrà che averne giovamento al fine di cambiare l’orrenda situazione attuale: la rassegnazione e la sfiducia, sono le nostre principali nemiche.
Va da sé che se la ripresa del conflitto generalizzato è fondamentale per ogni speranza di cambiamento culturale, sociale ed economico, come CUB Pensionati, abbiamo molto da poter dire e fare.
RIPARTIRE CON LE LOTTE
NON ACCETTARE L’INDIFFERENZA E LA RASSEGNAZIONE
Ciò che è accaduto ed è ancora in svolgimento nell’ambito del sistema pensionistico è estremamente rappresentativo del grado di subordinazione cui sono sottoposti i diritti delle lavoratici e dei lavoratori, prima nel loro percorso di vita lavorativa, successivamente in quello del pensionamento.
In questi anni, il sistema pensionistico, passato (grazie alle lotte degli anni ‘60 del Novecento) dal contributivo al retributivo, è stato smontato progressivamente, fino a prevedere il solo calcolo contributivo. Calcolo enormemente svantaggioso sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista solidaristico: un diritto collettivo è stato trasformato in un problema del singolo individuo, con buona pace dello stesso art. 38 della Costituzione. E non contenti, hanno anche: allungato i tempi e le modalità per l’accesso alla pensione, legato l’assegno pensionistico alle aspettative di vita, bloccato e/o ridimensionato l’adeguamento ISTAT annuale (che, se pur in modo molto parziale, dovrebbe tutelare le pensionate e i pensionati dall’aumento del costo della vita).
Tutto ciò, purtroppo, è avvenuto senza grandi opposizioni popolari, sia grazie alla connivenza delle più importanti organizzazioni sindacali, ma anche, purtroppo, per l’acquiescenza alla presunta rappresentazione scientifica del problema pensionistico: la neutralità ce la chiede l’Europa, ce la chiedono i conti pubblici, o, peggio ancora, se non si fa così i vecchi pensionati rubano il futuro alle giovani generazioni, non esiste un’altra via…
Il tutto declamato con saccente sicurezza, come se le scelte economiche adottate, siano sempre dettate da certezze scientifiche assolute che non prevedono alternative o variabili e non siano determinate, invece, da scelte politiche che indirizzano i costi e/o i vantaggi sulle varie classi sociali che compongono la società.
LE ALTERNATIVE ESISTONO E POSSONO ESSERE PRATICABILI, STA A NOI DIMOSTRARLO CON INIZIATIVE DI LOTTA E DI CONTRASTO ALL’IDEOLOGIA DOMINANTE CHE ARRICCHISCE I RICCHI E AUMENTA LE DISUGUAGLIANZE.
E’ tempo, perciò, di rimboccarci le maniche e rilanciare lotte e iniziative. In particolare, alla CUB Pensionati, compete riprendere l’iniziativa sulla questione pensionistica, cominciando ad affermare e rivendicare che:
- Il diritto alla pensione deve essere un diritto universale che va garantito e tutelato collettivamente, sia per le generazioni attuali che per quelle future. Le elemosine di 3 euro mensili delle minime, di quelle d’invalidità o i circa 8 euro mensili per le pensioni da 1.000 euro lordi, rappresentano una vera e propria offesa alla dignità umana e contribuiscono ad allargare la fascia della povertà;
- Le pensionate e i pensionati non rappresentano un problema per la Società, perché oltre all’IRPEF che hanno versato nell’intero arco della loro vita lavorativa, continuano a contribuire anche con quello delle loro pensioni: L’Italia, assieme alla Danimarca, è uno dei Paesi europei che fa registrare la più alta tassazione sulle pensioni. A sostegno di ciò, basti rilevare che un reddito pensionistico di 20mila euro all’anno viene colpito con un’aliquota media del 20,5 per cento in Italia, del 19 per cento in Spagna, dell’8,7 per cento nel Regno Unito, dell’8,4 per cento in Olanda, dell’8,3 per cento in Germania e del 7,3 per cento in Francia (fonte OCSE);
- L’aumento delle fasce d’età per l’accesso alla pensione non risolve i problemi dell’ingresso al lavoro delle nuove generazioni. Anzi, lo ritarda e si ripercuote drammaticamente anche sugli incidenti del lavoro, dove si registrano morti e/o gravi invalidità che vedono coinvolti/e ultra sessantacinquenni. Al più alimenta la propaganda, perché serve a taroccare gli aumenti delle statistiche degli occupati;
- E’ il mondo del lavoro il vero problema delle giovani generazioni, non le pensioni. Il futuro dei giovani è minacciato dal fatto che, ad esempio, nel 2021, 360.000 lavoratori tra i 20 e i 29 anni guadagnavano meno di 10.591 euro l’anno, circa 876 euro al mese, o dal fatto che c’è un tasso di occupazione giovanilefermo al Sud al 33,1%, controil 47,3%al Centro e il 53,4%al Nord, nonché un consistente differenziale di genere, con un tasso di occupazione femminile (15-34 anni) del 38,6%, a fronte del 51% per quello maschile (fonte-agenziagioventu.gov.it)o perché il part-time involontario è imperante, fino ad arrivare a sette casi su dieci nei settori della logistica e della grande distribuzione. Dalla perdita del 2,9% di valore dei salari medi dal 1990 al 2020, o ancora, perché l’11,5% degli occupati è a rischio povertà (fonte ISTAT), o per i circa 900 contratti pirata (fonte INPS), per la mancanza del salario minimo, per il 69,7% di IRPEF evasa dai lavoratori autonomi nel 2020 (fonte MEF). E la lista potrebbe continuare ancora e ancora. Invece si pensa solo a togliere altro salario a chi lavora insistendo con l’esproprio di un’altra parte di retribuzione, il TFR, per darlo alle Assicurazioni, alle banche, ai fondi pensioni, ben sapendo che non potrà essere quella la strada per risolvere il problema della pensione per le future generazioni;
- È inaccettabile che continui il mancato adeguamento delle pensioni all’aumento del costo della vita. Dal blocco dell’adeguamento annuo all’inflazione dal 2011 al 2014, si è passati alla sterilizzazione parziale del citato adeguamento, con la creazione di 6 fasce; ora con l’ultima finanziaria ridotte a 3/4, in virtù della previsione del tasso d’inflazione all’1%. Sulla mancata perequazione la Corte dei Conti della Toscana ha sollevato l’eccezione di costituzionalità, in relazione a un ricorso presentato da un dirigente scolastico. Tuttavia, mentre è giusto continuare a perseguire anche la via legale, collegandosi anche con altre iniziative sul territorio nazionale, è sacrosanto contestare anche nelle piazze le ipocrite azioni di raffreddamento dell’adeguamento al costo della vita delle pensioni cosiddette ricche, mentre, sempre nello stesso nostro Paese, si consente al 5% dei più abbienti di pagare un’aliquota fiscale effettiva del 36% a fronte di guadagni di oltre 500.000 euro annui (fonte – Hanno vinto i ricchi pag.134 -);
NON FACCIAMOCI ANCORA PRENDERE IN GIRO, AFFRONTIAMO NOI LA QUESTIONE FISCALE
E’ bene tenere a mente da dove parte la lotta alle tasse.
In Italia, negli anni ’70 del Novecento il sistema tributario italiano nel 1974 prevedeva 32 aliquote che andavano dal 10 al 72% (oltre 550 milioni di lire), negli Stati Uniti la tassazione massima arrivava fino al 91%.
Negli anni ottanta, dopo la crisi petrolifera, parte la riscossa del capitalismo, con le buon’anime della Thatcher e di Reagan che negano il ruolo della società e dello Stato sociale (“la società non esiste. Esistono gli individui, gli uomini e le donne, ed esistono le famiglie”- Thatcher) e danno il via alle politiche che renderanno i ricchi sempre più ricchi e, tra gli strumenti utilizzati a tale scopo, la riforma fiscale è tra quelli più importanti. Così, con il mito di fare gli interessi del popolo, partono le cosiddette semplificazioni della giungla delle aliquote, con tagli inversamente proporzionali, che vanno ad esclusivo vantaggio di chi ha i soldi. Nel nostro Paese si procede anche in contrasto con i dettati Costituzionali, art. 53, che prevede la progressività della tassazione e così, siamo arrivati ai giorni nostri, in Italia la tassa massima è scesa di ventinove punti, al 43% per gl’importi che superano i 50.000 euro, mentre quella che riguarda la maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori (la media IRPEF 2022 era di 28.200euro) va dal 23 al 25%, rimanendo costante con le precedenti aliquote.
Negli Stati Uniti dagli anni ottanta, il sistema statunitense avvantaggia i ricchi a danno dei poveri. Nel 1970 i ricchi versavano al fisco oltre la metà del loro reddito, cioè il doppio dei lavoratori. Nel 2018, dopo l’ultima riforma fiscale Trump, per la prima volta in cento anni i miliardari ne hanno pagate circa il 23%, meno dei metalmeccanici, insegnanti e pensionati (fonte – Il Trionfo dell’Ingiustizia – Saez-Zucman). La defiscalizzazione agisce anche con gli interventi sui profitti derivanti dalla finanza, sulle delocalizzazioni, favorite dalla globalizzazione, dai monopoli fiscali e da quello delle multinazionali del web.
Il problema è complesso e di difficile contrasto, tuttavia eluderlo non ci potrà aiutare nel nostro tentativo di modificare in meglio la società e le cose non cambieranno, se continuiamo ad accettare che sul reddito complessivo dichiarato nel 2022, 970,2 mld.. di euro, i redditi da lavoro e pensioni hanno rappresentato circa l’83% del reddito complessivo dichiarato (fonte – MEF) e che la percentuale che viene dalle imposte di successione ha rappresentato lo 0,05%.
CONTINUIAMO A LOTTARE, A PARTIRE DAL 29 NOVEMBRE 2024
CUB Pensionati di Roma e Provincia
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Orari apertura sportello al pubblico: dal lun. al ven. dalle ore 9.30 alle ore 13.00 e dalle ore 14.00 alle ore 16.30