Il 14 giugno l’Istat ha pubblicato il rapporto sulle CONDIZIONI DI VITA E REDDITO DELLE FAMIGLIE per gli anni 2021-2022
Dal rapporto si evince che nel 2022, il 20,1% delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà (circa 11 milioni e 800mila individui) avendo avuto, nell’anno precedente l’indagine, un reddito netto equivalente inferiore al 60% di quello mediano (ossia inferiore a 11.155 euro annui). A livello nazionale la quota di popolazione a rischio di povertà rimane uguale all’anno precedente (20,1%), quindi anche la sbandierata ripresa del Pil e dell’occupazione (precaria) non migliora i livelli di vita della popolazione più debole.
Inoltre, il 4,5% della popolazione (circa 2 milioni e 613mila individui) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale.
La popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale, ovvero la quota di individui che si trova in almeno una delle tre condizioni considerate (riferite a reddito, deprivazione e intensità di lavoro), è pari al 24,4% (circa 14 milioni 304mila persone), pressoché stabile rispetto al 2021 (25,2%).
Una conferma ulteriore che la ripresa non tocca chi sta peggio: anche in termini territoriali e distributivi cresce la disparità e la diseguaglianza.
Nel 2022 i pochi e marginali miglioramenti non hanno interessato la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale del Mezzogiorno, che rimane l’area del paese con la percentuale più alta di individui a rischio (40,6%, come nel 2021).
Anche per i “nuovi italiani” la situazione resta complicata: le famiglie con almeno un cittadino straniero, che avevano registrato un forte peggioramento durante la pandemia, mantengono un rischio di povertà o esclusione sociale molto elevato (39,6%, rispetto al 44,7% del 2021).
Rispetto al 2007, anno che precede la crisi Lehman, la contrazione del reddito familiare resta ancora notevole, con una perdita in termini reali pari in media al 5,3%: la contrazione è di -10% nel Centro, -9,4% nel Mezzogiorno, -1,7% nel Nord-est e -0,9% nel Nord-ovest. In particolare, la flessione dei redditi è stata particolarmente intensa per le famiglie la cui fonte di reddito principale è il lavoro autonomo (spesso partite Iva camuffate; -10,5%) e il lavoro dipendente (-7,5%), mentre le famiglie il cui reddito è costituito principalmente da pensioni e trasferimenti pubblici hanno sperimentato un incremento pari all’8,4% nel periodo.
Se si fa riferimento alla distribuzione dei redditi, nulla di nuovo sotto il sole, anche se nel 2020-2021 l’emergenza pandemica aveva imposto un forte sostegno straordinario ai redditi familiari: il 20% della popolazione che guadagna di più prende 5,6 volte quello che guadagna il 20% della popolazione più povera.
Quello che emerge, in conclusione, è che la pandemia non ha significato la svolta su cui molti avevano sperato: la diseguaglianza e la povertà non sono calate nel biennio 2021-2022, nonostante gli ammortizzatori sociali straordinari ed il reddito di cittadinanza.
Quando questi strumenti verranno rimossi, come sta accadendo da qui a fine anno, l’impatto sociale sarà molto duro e devastante (soprattutto in alcuni territori e nei segmenti sociali più esposti). Ci attende un 2023 di grande sofferenza sociale, se le politiche del governo non cambiano di segno.
A cura di Renato Strumia, Ufficio Studi della Cub