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L ’ITALIA IN FALLIMENTO

L’INPS fa sapere che dei 385 miliardi di spesa (quasi la metà dell’intera spesa pubblica del Paese) un terzo è dedicata all’assistenza sociale e due terzi per le pensioni.
Il Presidente uscente Tridico spiega che a livello nazionale su 111 lavoratori attivi vi sono 100 pensionati; per far fronte all’inflazione nell’anno 2023 l’Inps ha speso 22 miliardi, con l’indicizzazione delle pensioni, mentre lo stesso non è accaduto con le retribuzioni creando un gap tra le entrate contributive dell’Inps e le spese per le prestazioni

“Insomma – commenta la segreteria nazionale Cub pubblico impiego – l’inflazione sale, grazie alle politiche europee e nazionali, ma i salari stanno fermi. Ricordiamo, dai dati dell’OSCE, che i rinnovi contrattuali degli ultimi 30 anni hanno portato il nostro Paese a una crescita negativa degli stipendi con un bel – 2,90%. Sicuramente la colpa dei bassi salari non può essere imputata all’INPS che vede con preoccupazione lo svuotamento delle proprie casse, costretta a erogare/anticipare le mance dei vari Governi che si susseguono, per coprire le scelte politiche spesso depressive e miopi che hanno condizionato il nostro Paese negli ultimi 30anni.
La disoccupazione in Italia è al 40 %, con la percentuale dei giovani che non studiano e non lavorano, tra i 15 e 24 anni, del 74% (dati Istat al 31 dicembre 2022).
Finita, per così dire, l’epoca pandemica si profilano ai danni dei lavoratori altre contrazioni salariali, per finanziare una guerra che nessuna popolazione vuole (nemmeno quella ucraina). Complessivamente dal 2022 l’Italia ha versato per la guerra in favore dell’Ucraina circa 10 miliardi di euro e non si sa quanti per l’ospitalità dei profughi, l’Europa intera si appresta a dirottare parte consistente dei soldi del PNNR destinati alla Sanità e all’Istruzione verso la fabbrica della guerra, con beneficio delle multinazionali che ne trarranno profitto.
La Corte Costituzionale a giorni si deve pronunciare sulla legittimità del sequestro del TFS/TFR ai lavoratori pubblici, costretti a veder rateizzati i propri soldi accantonati dopo l’uscita dal lavoro. Gli avvocati dell’Inps e della Ragioneria dello Stato, per impedire la liquidazione del TFR/TFS ai lavoratori pubblici, dicono che è a rischio la tenuta dei conti pubblici e dell’Inps. Pagare il TFS/TFR ai dipendenti che ne hanno diritto costerebbe 13,9 miliardi solo nel 2023 (sono stati spesi 26 miliardi nel 2022 per la difesa, per arrivare a 36 miliardi nel 2027).

Come al solito toccherà ai dipendenti pubblici salvare lo Stato e l’Inps dalla bancarotta, perché anche se il contratto è scaduto da due anni, soldi per loro non ci sono all’orizzonte. Ci sono invece per le aziende, grazie allo sgravio contributivo, per 4 miliardi quest’anno e 10 miliardi per il prossimo anno, ma per i lavoratori nemmeno 1 euro! Ricordiamo che i sindacati confederali CGIL-CISL-UIL hanno accettato supinamente il fermo degli stipendi per più di 10 anni per “salvare” lo Stato, mentre politici e burocrati di alto rango si aggiustano gli stipendi per l’inflazione, e ai primi viene liquidato il TFR a fine legislatura, per i lavoratori pubblici, invece, l’unico aumento è il carico di lavoro !”

Comunicato in pdf

Milano, 25 maggio 2023, CUB Pubblico Impiego – Milano Viale Lombardia n. 20, e-mail pubblicoimpiego@cub.it

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